Le motivazioni della sentenza dividono ancora
La prima parte richiederebbe una lunga spiegazione di tipo storico e giuridico, riducibile al fatto che per la Costituzione l’attività sindacale è libera, ma non è mai stata regolata da una legge che consentisse di stabilire a quali condizioni un accordo contrattuale è valido. Si è andati avanti per oltre 60 anni in base al «mutuo riconoscimento tra le parti» (imprese e diversi sindacati dei lavoratori), in base a una scelta esplicita e assai poco lungimirante del sindacato e del Pci d’allora (quando i «rapporti di forza» premiavano di gran lunga la Cgil come unico sindacato «vero»). Certo, per tenere il tutto era fondamentale preservare l’«unità sindacale», in modo da non consentire accordi «separati» e di comodo.
Ma un assetto così è giuridicamente fragilissmo. È bastato che una singola azienda – non a caso la più importante della manifattura – rompesse quel «patto silenzioso» per far cadere tutta l’impalcatura. Non esiste nessuna legge che obblighi un’impresa ad applicare certi contratti (e molte piccolissime imprese in effetti non lo fanno), ma solo una «convenzione sociale» che a questo punto Fiat ha infranto. Ponendo tra l’altro in grandissimo imbarazzo Confindustria, associazione «sindacale» delle imprese che a questo punto non avrebbe più un ruolo da svolgere. Come anchele confederazioni sindacali.
Il giudice Vincenzo Ciocchetti, nella parte che «premia» Fiat, ha riconosciuto questa realtà di fatto: «il contratto sottoscritto il 29 dicembre 2010 è senza dubbio idoneo a definire e regolare i rapporti di lavoro di tutti i dipendenti che operano alle dipendenze di fabbrica Italia Pomigliano». Indipendentemente dal fatto che la Fiom o altri sindacati lo riconoscano.
Ma, sul lato opposto, quando si verificano «lacerazioni dell’unità sindacale» – magari creata ad hoc dall’azienda e/o dal governo – «è senza dubbio preciso dovere del datore di lavoro rispettare le scelte» dei diversi soggetti, «senza schierarsi in favore di alcuni di essi». Il diritto fa un po’ fatica a riconoscere la realtà sindacale attuale, ma comunque il senso è chiaro. La Fiom ha diritto a mantenre i propri rappresentanti in azienda, firmi o no quell’accordo. Perché «la ratio dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori è quello di elidere unicamente una rappresentanza presunta», ovvero un «sindacato virtuale» con esistenza giuridica, ma non rappresentativo dei lavoratori. E la Fiom è addirittura il sindacato maggioritario.
Ma alla Fiom non può andar bene il fatto che «l’accordo di Pomigliano sia valido come sostitutivo del contratto nazionale». Per Maurizio Landini e Giorgio Airaudo (segretario generale Fiom e segretario con delega per l’auto), «l’obiettivo della Fiat di escludere la Fiom, i suoi delegati e i lavoratori che dissentono è fallito. Manteniamo un diverso parere in riferimento alla violazione dell’art. 2112 sul trasferimento d’impresa. Su questo punto confermiamo l’intenzione di procedere con cause individuali e ci riserviamo, sentito il nostro collegio di legali, di impugnare questa parte della sentenza». Sulle vere ragioni Fiat, del resto, parlano le chiusure di stabilimenti come Termini Imerese e dell’Irisbus.
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FIAT SEVEL
Fiom: «No alla uscita dalla Confindustria»
La Fiom dice no all’accordo con la Sevel (gruppo Fiat) di Atessa (Chieti) e si prepara alla mobilitazione. Da oggi inizieranno assemblee per discutere sul rischio che il gruppo esca dalla Confindustria Abruzzo e non sono esclusi possibili scioperi. I segretari regionale e provinciale, Nicola Di Matteo e Marco Di Rocco, hanno spiegato che Fiat uscirebbe da Confindustria per avere una maggiore possibilità di stipulare contratti aziendali e non sottostare a eventuali contrattazioni collettive. «Il nostro no è stato molto sofferto – ha detto Di Matteo – C’erano dei punti positivi, come l’incremento occupazione in zona, ma altri erano inaccettabili». Nell’incontro, tenutosi con tutte parti sociali, si è discusso di incremento della produzione dei furgoni Ducato ma soprattutto dei premi 2011 legati alla presenza in fabbrica, lasciando però fuori le fasce deboli, i malati e anche le donne incinte. «Di fatto – continua Di Matteo – il contratto nazionale non conta e viene annullato». A configurare la possibilità di un’eventuale fuoriuscita, non solo a livello locale, c’è anche la lettera che l’ad Fiat Sergio Marchionne ha inviato alla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia il 30 giugno scorso. Nella quale annunciava l’abbandono da parte di Fiat e Fiat Industrial del «sistema confederale a partire dal primo gennaio 2012 nel caso in cui, entro l’anno 2011, non si fossero realizzati ulteriori passi a garanzia dell’esigibilità necessaria per gli accordi raggiunti a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco». C’è da tenere conto, dall’altro lato, che il recente articolo 8 approvato insieme alla manovra dovrebbe soddisfare questa richiesta. La Fiom ha poi espresso preoccupazione anche per l’eventualità che Fiat possa disimpegnarsi dal progetto «Campus tecnologico automotive». «In questo modo continuerà a sganciarsi dal territorio – ha detto Marco Di Rocco – Non sappiamo cosa avverà nel 2019 quando cesserà l’accordo con la francese Psa».
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