Lavitola e il “fattore 5 per cento” sugli affari dell’Italia a Panama

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NAPOLI – Consulenze sospette e un tariffario stabilito a monte. Addirittura un “listino” del 5 per cento per i buoni uffici esercitati tra società  di Stato e paesi esteri. Come Panama, l’altra Repubblica dove Valter Lavitola, il faccendiere tuttora latitante per la presunta estorsione ai danni del premier, intrecciava affari con i potenti. E questo sia prima che dopo il clamoroso “regalo” delle sei navi da guerra inviate dall’Italia allo Stato del Centroamerica, in seguito all’aggiudicazione di un appalto da 160 milioni di euro alle società  di Finmeccanica. Già  il gip Amelia Primavera nell’ordinanza di custodia individuava il capitolo degli «”affari loschi” trattati dal Lavitola con riferimento agli appalti di Finmeccanica», gruppo con cui «sembra svolgere non meglio specificate attività  di consulenza». Lavitola si dava da fare e nutriva ovviamente legami con dirigenti e amministratori, in particolare con gli ex vertici della società  leader mondiale degli elicotteri, Agusta Westland (non coinvolta dalle indagini).
Eccolo, un altro tema incrociato dall’inchiesta sul ricatto al premier, che ha travolto Giampaolo Tarantini, ancora in carcere, e sua moglie Angela (Nicla) Devenuto, agli arresti domiciliari. La Procura è determinata ad assumere «quanti più elementi e ricostruzioni utili» a pronunciarsi sulla competenza territoriale. Il procuratore aggiunto Greco, con i pm Piscitelli, Woodcock e Curcio, ricominciano oggi con il terzo interrogatorio a “Gianpi”, fiducioso che la collaborazione mostrata tra le mura di Poggioreale lo consegni alla detenzione domiciliare. L’indagato parlerà  anche dei business di Lavitola? Già  sua moglie Nicla, alla domanda del pm: «Lei dice che Lavitola stava spesso all’estero, ma è a conoscenza delle ragioni?», risponde: «Dico quello che lui mi ha sempre detto. Commercia pesce in Brasile, ha una casa lì… So che a Panama ha altre attività , so che è amico del presidente di Panama (Ricardo Martinelli, ndr), è stato fidanzato anche con una nipote, e mi sa che lavora con lui questa, mi sa che è anche nelle intercettazioni. Poi ogni tanto diceva “Vado in Argentina”, “In Uruguay”, “in Paraguay”, io dicevo “Scusa ma che cavolo ci vai a fare?”: E lui: “Fatti miei”».
In elenco, altri testi da sentire e Berlusconi non è l’unico eccellente a rinviare l’incontro con i pm. Ma se il premier oppone il legittimo impedimento, non può fare altrettanto Niccolò Ghedini, avvocato del premier e deputato. Da giorni, il parlamentare sta invitando la Procura a considerare la sua delicata posizione di difensore del presidente del Consiglio nei processi ormai noti: un quadro che lo costringerebbe, di fronte ai pm, a fermarsi sulla soglia del segreto professionale, nonché dei motivi di sicurezza che gravano su notizie relative alla sfera dei contatti del premier. Ma le legittime schermaglie giuridiche in corso non sembrano mutare la convinzione dei pm: è necessario sentire Ghedini che – come già  scrive il gip nella misura – viene «chiamato in causa» in alcune conversazioni da Tarantini. Nell’interrogatorio del 3 settembre, Gianpi integra: «Credo che quando Berlusconi faccia determinati conti o cose, Ghedini lo sappia. Vede un fogliettino, una nota, non so come gestiscono la contabilità , Berlusconi, ma vede la nota ha scritto 200 (mila) a Lavitola per Tarantini, o comunque a Ghedini che non è scemo dice: “Cavolo, fammi vedere qua i soldi dove stanno”». Infine aggiunge: «C’è sempre stata una diffidenza da parte di Ghedini nei confronti di Lavitola». Il pm chiede: era reciproca, anche Lavitola la invitava a diffidare di Ghedini? Tarantini: «Sì».


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