L’ultima sfida di Assange tutti i file segreti sul web

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LONDRA – È l’ultima sfida di Julian Assange. Il fondatore di WikiLeaks decide di spalancare il suo forziere, pubblicare tutto quello che ha: l’intero archivio di cablogrammi ottenuti dal «sito delle soffiate», più di 250 mila documenti riservati che da ieri sono sul web, accessibili a chiunque, integrali, senza filtri e senza password. Compresi 2.970 messaggi provenienti dalle sedi diplomatiche americane in Italia, tra il 1988 e il 2010. Assange chiede agli internauti di «trasformarsi di investigatori», di setacciare questo immenso tesoro di segreti e, quando trovano qualcosa di interessante, di segnalarlo alla sua organizzazione.
È la prima volta che WikiLeaks fa una mossa del genere. Finora aveva sempre pubblicato le sue rivelazioni insieme a gruppi selezionati di giornali, che partecipavano alla redazione del materiale e si impegnavano a omettere riferimenti a persone o luoghi che potessero mettere a repentaglio la vita di informatori, agenti segreti, dissidenti. Ma i giornali si sono dimostrati «parziali» nelle analisi che hanno fatto dei documenti pubblicati, afferma Assange, dunque poco attendibili. E inoltre, per quanti giornalisti avessero impiegato per setacciare le migliaia di documenti, non avevano «risorse sufficienti» per una caccia meticolosa a ogni segreto. Perciò il leader di WikiLeaks sceglie ora un partner più imparziale e con risorse illimitate: il popolo di internet.
Ci sono anche altre ragioni. Assange accusa uno dei giornali con cui aveva collaborato, il Guardian di Londra, di averlo «tradito», rivelando nel libro di un proprio giornalista la password per entrare nel database di WikiLeaks. Grazie a questo, sostiene Assange, un sito rivale ha potuto pubblicare parte dei cablogrammi. Ma il Guardian respinge l’accusa, sostenendo che la password dava solo un accesso temporaneo; e insieme agli altri quattro giornali partner di WikiLeaks nella fase iniziale delle rivelazioni (New York Times, El Pais, Der Spiegel, Le Monde) «deplora e condanna» la pubblicazione senza filtri di cablogrammi che possono mettere a rischio la vita delle persone citate. Ve ne sono più di mille con nomi di attivisti, afferma il Guardian, migliaia con l’avvertimento «pericolo per le fonti», 150 con nomi di informatori, altri con vittime di reati sessuali o infrastrutture governative segrete, uno con il telefono di papa Giovanni Paolo II. Per le stesse ragioni anche Amnesty International e Reporters Senza Frontiere criticano la decisione di Assange, già  condannata pure dal dipartimento di Stato Usa, dall’Australia, da altri governi, tra cui quello italiano per bocca del ministro degli Esteri Frattini.
Forse Assange pensa di non avere più nulla da perdere. Ancora in libertà  vigilata in Inghilterra, in attesa dell’esito del processo di appello per l’estradizione in Svezia (dove è accusato di molestie sessuali e stupro da due donne – in primo grado l’estradizione era stata concessa), il fondatore di WikiLeaks alza la posta: chiamando a raccolta il popolo di internet. Sostiene di avere consultato gli internauti, in un sondaggio su Twitter, per decidere se pubblicare tutto o meno, ricevendo un sì quasi unanime, «100 a 1». Ma il Guardian obietta che WikiLeaks non rivela quanti hanno partecipato al sondaggio, né i risultati esatti.


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