by Sergio Segio | 1 Settembre 2011 6:19
Nell’affannosa ricerca di entrate fiscali, il governo scopre che la divergenza tra imposte pagate e ricchezza reale può essere nascosta intestando partecipazioni, obbligazioni, immobili, terreni, yacht e auto di lusso a un’infinità di società di comodo possedute da fiduciari italiani ovvero esterovestite. In verità , il fenomeno è risaputo da sempre. La normativa per arginarlo risale al 1994. Ma in questo Paese le società di comodo sono state deliberatamente trascurate dal Fisco quasi fossero recinti di libertà dove i sedicenti tartassati si difendono dallo Stato nemico, e pazienza per i tanti che ne restano fuori. Adesso, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe recuperare il tempo perduto riconnettendo le società di comodo ai beneficiari così da valutare la congruità dei redditi dichiarati da costoro.
Un certo scetticismo è d’obbligo non solo per la storia fiscale del centrodestra italiano, ma pure per la macchinosità della procedura. Perché prospettare indagini numerosissime, lunghe e costose per perseguire i presunti evasori quando ci si potrebbe ispirare ai nuovi, agili accordi sulla tassazione dei capitali tedeschi e britannici costituiti in forma anonima presso le banche svizzere, finora le più grandi società di comodo del mondo?
Si obietterà : in un Paese libero, il cittadino avrà pur diritto a non rendere pubblico in tutto o in parte il suo patrimonio. In verità , si tratta di un diritto con molte eccezioni. I compensi dei manager delle società quotate sono a bilancio. L’identità dei proprietari dei giornali, ancorché schermata da fiduciarie, va resa nota all’Autorità per le Comunicazioni, quando le case editrici non siano quotate in Borsa. I parlamentari depositano il proprio stato patrimoniale alle Camere. I redditi dei dirigenti statali sono pubblici per merito del ministro Renato Brunetta. Forse, quando l’allora ministro Vincenzo Visco cercò di pubblicare online l’imponibile degli italiani, non aveva poi tutti i torti. Ma la querelle sulla privacy rappresenta un falso problema. Il problema vero è come impedire che il diritto alla privacy diventi licenza di evasione.
Sulla falsariga dell’accordo con la Germania, la Svizzera ha pattuito con il Regno Unito che, per conservare l’anonimato, i capitali clandestinamente costituiti nelle sue banche da cittadini britannici, comunque mascherati da fiduciarie e trust, debbano pagare un’imposta liberatoria una tantum tra il 19 e il 34% del loro ammontare e poi versare al Fisco di Sua Maestà il 48% del rendimento annuale del capitale residuo. Provvederanno direttamente le banche svizzere depositarie. Diversamente, le stesse banche riveleranno la proprietà di quei capitali a Londra, che potrà indagare sul perché e il percome fossero stati nascosti. Terza opzione, trasferire tutto fuori dalla Svizzera e dall’Unione Europea in paradisi fiscali di incerto diritto. In tal modo, due Paesi molto diversi, entrambi retti da governi di centrodestra, tendono ad assoggettare a tassazione piena i redditi finanziari occultati in Svizzera e Berna protegge, in forme più moderne, il suo segreto bancario dalle incursioni degli 007. Che cosa aspettano Berlusconi e Tremonti a copiare mister Cameron e Frau Merkel sui capitali italiani, almeno un centinaio di miliardi non scudati, detenuti nelle banche di Lugano e Zurigo? Il governo elvetico è pronto.
Ma il governo italiano vuole pizzicare pure chi fa il furbo fuori dalla Svizzera. Bene. Allora, pena adeguate sanzioni, si imponga alle società fiduciarie e ai trust, nostrani e non, l’obbligo di indicare i reali proprietari dei patrimoni loro intestati. Poiché il diritto alla riservatezza verso i terzi non va leso d’autorità , questa comunicazione potrà essere registrata in un ufficio centrale e riservato dell’Agenzia delle Entrate. I coniugi in regime di separazione dei beni, per esempio, potranno conservare i loro segreti. Ma perché celarsi al Fisco se non allo scopo di allentarne la morsa per sé lasciandola immutata per gli altri?
L’autodenuncia tramite le fiduciarie darebbe un gettito fiscale in tempi assai più rapidi di decine di migliaia di indagini e non escluderebbe il dovere dell’Agenzia di verificare a campione la veridicità delle dichiarazioni. Questa doppia operazione, interna e internazionale, farebbe probabilmente emergere abbondante materia per procedere a un eventuale condono tombale. Che potrebbe darsi ai soli fini Irpef (per l’Iva ci sarebbe un divieto Ue). Al tempo stesso una tale doppia operazione aiuterebbe a non trovarsi più nelle condizioni di fare altre sanatorie. Azzerato il passato senza i vecchi sconti e con nuova trasparenza, un governo credibile potrebbe rifondare il patto fiscale tra gli italiani, ormai in frantumi, ridefinendo l’equilibrio tra entrate fiscali e spesa pubblica. E visto che, dopo il 2012, si vuole mettere in Costituzione il divieto di bilanci pubblici in deficit, l’ultimo condono richiederebbe analogo seguito costituzionale.
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