L’incubo delle discariche atomiche in Italia 300 ettari di scorie eterne

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ROMA – «AAA cercasi cimitero radioattivo per 80-90 mila metri cubi di sostanze radioattive». Il referendum dello scorso giugno ha sepolto il ritorno dell’atomo ma non ha potuto risolvere tutti i problemi accumulati in una breve stagione nucleare. In Italia non esistono impianti come quello di Marcoule, con il forno per la fusione di metalli a bassa radioattività . In compenso ci sono le scorie inviate all’estero per il cosiddetto ritrattamento (serve a ridurre i volumi ed estrarre l’uranio) che devono ancora tornare; quelle che devono ancora partire; quelle che devono ancora prodursi perché nasceranno dallo smantellamento delle quattro centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987.
L’Italia combatte da tre decenni con il problema dei materiali contaminati dalla radioattività  e la soluzione non si intravede ancora. Negli anni Ottanta avevamo cominciato a inviarli a Windscale, un centro di trattamento in Gran Bretagna che nel 1981 ha adottato il nome di Sellafield tentando di cancellare la memoria degli incidenti che si erano susseguiti. Stanno sempre lì e prima o poi si porrà  la questione del rientro.
Nel 2007 è stato firmato un altro accordo, questa volta con la Francia che si è impegnata ad accogliere nel centro di La Hague 235 tonnellate di combustibile irraggiato. Il trasporto non è ancora completato: manca il 2 per cento delle barre che verrà  spedito entro il prossimo anno. Il cammino di ritorno dei materiali – vetrificati, ma sempre radioattivi – dovrebbe avvenire tra il 2020 e il 2025.
Infine c’è il problema delle vecchie centrali, attorno alle quali non si è ancora spenta la protesta. In particolare a Trino Vercellese, con le sue scorie appena sette metri più alte delle acque del Po: una piena eccezionale potrebbe portarle via.
La Sogin, la società  che ha il compito di gestire i rifiuti nucleari e lo smantellamento delle centrali, ricorda che entro il 2015, secondo la direttiva europea, dovrà  essere pronto il piano per la messa in sicurezza dei depositi nucleari in cui affluiranno anche i materiali radioattivi provenienti dal circuito ospedaliero. Per costruire la discarica nucleare italiana servono 300 ettari poggiati su uno strato geologico impermeabile: si sceglierà  tra una rosa di 50 candidati.
L’operazione è necessaria perché al momento i rifiuti radioattivi non hanno fissa dimora: in parte sono rimasti all’interno delle centrali; in parte vengono conservati in forma liquida a Saluggia, in un sito che – nonostante la costruzione di un muro di recinzione – è in una situazione resa precaria dalla vicinanza con la Dora Baltea e dalle frequenti inondazioni della zona.
Quando si riuscirà  a risolvere il problema e quanto ci costerà ? «Il decommissioning dei siti nucleari italiani, che realizzeremo entro il 2020, costerà  6 miliardi di euro: tutte le centrali spariranno e sui siti tornerà  un prato», afferma Giuseppe Nucci, amministratore delegato di Sogin. «Si tratta di un progetto che ridurrà  fortemente il rischio perché metterà  in sicurezza materiali che oggi sono sparsi in siti non pensati per questa funzione».
«Scontiamo ancora gli errori del passato: portare i rifiuti radioattivi all’estero non solo non risolve in alcun modo la questione della sistemazione delle scorie, ma rappresenta una fonte di inquinamento e di rischio nucleare durante le fasi di trasporto», replica Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. «Il ritrattamento serve non alla sicurezza ma a recuperare uranio e plutonio dalle barre esauste per creare nuovo combustibile o armi nucleari».


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