L’affarista iracheno che fa da megafono a Gheddafi in fuga

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WASHINGTON — Tutti lo cercano, ma non lo trovano. E lui, il colonnello Gheddafi, risponde con discorsi minacciosi. Nell’ultimo, un audio diffuso nella notte di mercoledì, la Guida ha negato di essere fuggita in Niger — «sono solo menzogne» — e ha invitato i suoi seguaci a prendere le armi contro «i ratti, i germi, i germi… Erano spie degli italiani, ora sono spie della Francia… Li sconfiggeremo». Gheddafi ha quindi esortato «gli amati libici» a non cadere nelle trappole della guerra psicologica condotta da «un nemico debole».
Il messaggio è stato lanciato dalla tribuna mediatica di Al Ray, la sola emittente, o quasi, rimasta legata ai lealisti. La televisione è stata fondata cinque anni fa da un ex deputato iracheno, Mashaan Jabbouri, e di recente sarebbe stata comprata dal regime per 25 milioni di dollari. Basata a Damasco, ha come general manager un cittadino libico, Ahmad Shater, che sostiene di essere esperto di comunicazioni.
La scelta pro Gheddafi di Al Ray non è solo una questione di soldi. Il suo fondatore ha una passione per i dittatori e, in fondo, anche lui è abituato a vivere in fuga. Jabbouri, legato al figlio di Saddam, Uday, era stato inviato in Giordania per coordinare i traffici anti-embargo. Una posizione che gli ha permesso di guadagnare molto denaro e di fare la «cresta» sul contrabbando. Tanto è vero che, accusato di imbrogli, è stato costretto a scappare in Siria allacciando ottimi rapporti con i servizi segreti di Damasco e forse con gli 007 occidentali. Dopo la caduta di Saddam, è tornato in patria e si è avvicinato al movimento curdo di Massud Barzani. Eletto in Parlamento, ha tuttavia riattivato i contatti con i compagni del Baath diventati nel frattempo insorti. E la sua prima emittente, Al Zawra, ha iniziato a mandare in onda, sempre da Damasco, i video degli attacchi contro la coalizione e messaggi in codice destinati alla ribellione. Inseguito da una mandato di cattura internazionale per una condanna a 15 anni di galera, Jabbouri si è sistemato di nuovo a Damasco, sotto la protezione del cugino del presidente Assad, Rami Maklouf, uno degli uomini più potenti del regime. Gli americani lo hanno inserito nella loro lista nera e le autorità  di Bagdad lo vorrebbero in prigione. Ma Jabbouri non si preoccupa e usa i media come arma. Attraverso le tv Al Oruba, Al Ray, Moqawama e una rivista araba stampata in Olanda martella i suoi avversari. O sarebbe meglio dire i nemici di chi gli passa i soldi. Il Kuwait, in omaggio a Saddam. L’Iran, in ossequio ai sunniti. Infine la Nato.
In una recente intervista, Jabbouri ha raccontato di aver dato un contributo importante alla causa dei lealisti libici. In primavera avrebbe aiutato Tripoli ad acquistare a Beirut un’unità  mobile satellitare. Poi si è occupato dell’addestramento dei tecnici in Siria. Un piano per permettere ai governativi di trasmettere anche dalla clandestinità . Non è chiaro se Gheddafi conduca la sua propaganda attraverso questo sistema, ma è evidente che nonostante sia braccato è in grado di lanciare i suoi appelli. Ed ha trovato in Al Ray un comodo megafono e in Jabbouri un buon amico. Ieri, dal suo rifugio siriano, l’uomo d’affari ha rassicurato quanti credono ancora nel Colonnello: «Tranquilli, è in buona salute e sta guidando la resistenza».


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