by Sergio Segio | 26 Settembre 2011 6:44
L’incomunicabilità tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia non è più sostenibile. Tanto meno lo può essere nei giorni in cui l’euro è sotto attacco, le banche declassate e l’Italia in lotta per evitare tracollo e contagio greco. Il Quirinale lascia trapelare tutta la preoccupazione del caso, di fronte allo scontro finale Berlusconi-Tremonti. La resa dei conti non poteva cadere in un momento peggiore.
Il presidente Napolitano segue ora per ora l’evolversi della crisi che è certo finanziaria e internazionale, ma che a Roma ha un’aggravante politica. Apprensione che, raccontano, al Colle si è trasformata negli ultimi giorni in irritazione per quanto avvenuto in seno al governo. Aver mandato Giulio Tremonti quasi allo sbaraglio a Washington, screditato da pesanti giudizi del premier («Immorale») non smentiti da Palazzo Chigi e infilzato da giudizi sprezzanti degli altri ministri dopo il voto sull’arresto di Milanese, il tutto mentre il ministro dell’Economia rappresentava il Paese al G20 e dinanzi ai vertici del Fmi, ecco, è stato uno spettacolo al quale al Quirinale avrebbero preferito non assistere. Sul colle più alto – come avrebbe avuto modo di apprendere personalmente Gianni Letta – si sarebbero attese precisazioni ufficiali, smentite, magari un intervento del premier per arginare gli affondi dei ministri contro l’inquilino di via XX Settembre. Quanto meno in questi giorni già abbastanza critici e delicati per l’Italia. Non è avvenuto nulla di tutto questo e non è stato un buon segnale.
Così, adesso tocca correre ai ripari. Proprio facendosi interprete e ambasciatore delle aspettative e delle preoccupazioni del capo dello Stato, in queste ore il sottosegretario Letta si è mobilitato per riaprire un canale di dialogo con Tremonti. Lo ha ripetuto al Cavaliere rientrato eccezionalmente a Roma e non ad Arcore dopo il breve soggiorno sardo a Villa Certosa. Bisogna trovare il modo di riattivare le comunicazioni col ministro, meglio ancora un incontro, è stato il suggerimento del braccio destro. Diplomazia al lavoro tra Chigi e via XX Settembre, dunque, con l’obiettivo di organizzare a breve un faccia a faccia chiarificatore tra Silvio e Giulio. Fino a ieri non tirava aria. Il premier tentenna riluttante. Nonostante ci sia un decreto sviluppo da varare per il rilancio dell’economia e sarà difficile farlo in autonomia, senza un confronto col ministro responsabile. Perché Tremonti è certo sulla corda, ma è anche saldamente in carica e tutt’altro che intenzionato a farsi da parte.
Il clima nel governo resta assai teso. I ministri pidiellini non fanno mistero, nei colloqui privati, di essere pronti a non votare il decreto o altri provvedimenti economici eventualmente portati in Consiglio da Tremonti «a scatola chiusa». Collegialità o il professore di Sondrio sarà messo «in minoranza» nel governo, è il messaggio-avvertimento che fanno filtrare all’esterno. Musica per le orecchie di un Berlusconi che intanto fa sapere di essere rientrato anzitempo a Palazzo Chigi proprio per lavorare al decreto. Ma anche per lanciare nel giro di pochi giorni un segnale rassicurante all’indirizzo di Confindustria. Il Cavaliere ha mal tollerato gli affondi quasi quotidiani della Marcegaglia. Allo studio c’è proprio l’accoglimento di alcune delle proposte del “manifesto” che gli imprenditori si accingono a pubblicare per «salvare l’Italia». Dismissioni, liberalizzazioni, opere pubbliche in cima alla ricetta della presidenza del Consiglio. Sarà sufficiente?
Giulio Tremonti, di rientro dalla missione Usa, si è ritirato a Pavia, oggi incontrerà Bossi. A Fiumicino, in attesa dell’imbarco per Milano, ieri lo hanno incrociato Francesco Rutelli e l’ad Enel Fulvio Conti. Parlando poi coi suoi, il leader dell’Api ha confessato di essere rimasto «basito per il pessimismo cosmico, quasi disperato» del ministro dell’Economia. A dispetto delle rassicurazioni pubbliche di sabato da Washington al termine del vertice Fmi, Tremonti si sarebbe lasciato andare a «giudizi catastrofici sulle prospettive europee, sulla crisi Usa, sul ruolo delle banche». D’altronde, da oggi si riparte con le montagne russe, per borse e titoli italiani. Berlusconi lo sa, lo teme. Sono gli unici contraccolpi che ritiene possano davvero impensierire il suo governo. Non certo le levate di scudi dei pidiellini irrequieti, da Alemanno a Formigoni, intenti a invocare già primarie e rinuncia del premier alla futura leadership. Sarà pure vero, come diceva ieri mattina Gasparri ai vari Guido Crosetto, Enrico Costa, Fabrizio Cicchitto, Laura Ravetto a margine della manifestazione Pdl di Cuneo, che «a questo punto è assai probabile che si voti in primavera 2012», per schivare il referendum elettorale. Ma è altrettanto vero, va ragionando un berlusconiano doc come Osvaldo Napoli, che se si vota tra sei mesi «l’unico leader per noi è Berlusconi». E allora addio primarie e addio ricambio per il centrodestra.
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