L’accusa di Tarantini a Lavitola “Mi usava per ricattare il premier chiesi di sistemare i miei processi”

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NAPOLI – «Presidente, non riusciamo a sistemare anche qualcosa di mio sui problemi che ho tra Procura, fallimento, indagini, cose…?». Arcore, marzo 2011. Giampaolo Tarantini rivede il premier Silvio Berlusconi. Sono trascorsi due anni dallo scandalo di Bari e nuovi atti sono in arrivo dal capoluogo pugliese. Un’inchiesta esplosiva che, a suo dire, diventerà  «il caso Ruby 2». «Devo dire di Berlusconi, sì, ci sono cose (a Bari, ndr) che lo compromettono. Perché vederlo uscire sui giornali con ragazze che… Punto e accapo, Ruby 2, certo che non è piacevole per lui, la causa sono stato io».
Novantacinque pagine. L’imprenditore travolto dal caso escort racconta molte cose nell’interrogatorio sostenuto sabato nel carcere di Poggioreale. Il verbale è stato depositato agli atti dell’inchiesta che vede Tarantini, la moglie Angela Devenuto detta Nicla e il faccendiere Valter Lavitola indagati di estorsione ai danni del premier. Tesi che i coniugi Tarantini, alle domande dei magistrati, escludono. Non altrettanto possono dire dell’ex amico. «Lavitola sì, forse lui usava me per ricattare Berlusconi», sostiene Gianpi. È una dichiarazione importante per lo sviluppo dell’indagine. È lo stesso Lavitola che Tarantini bolla come «un pazzo», «uno psicopatico», «folle e spregiudicato», «invadente, prepotente». Ancora: uno che «dice fesserie», ma anche «di avere rapporti con la Cia». Persino con Berlusconi, Lavitola «era prepotente, pressante, perché si rivolgeva in maniera… diretta». Per esempio, così: «Senta, dottore, a Tarantini servono 500mila euro per un’attività ». Eppure, di Lavitola il Cavaliere diceva ai Tarantini: «Fidatevi di lui, chiedete quello che volete. Rivolgetevi a Valter per qualsiasi problema e starete tranquilli».
«La mia opposizione? I pm»
Durante il colloquio con Berlusconi, Gianpi assicura che intende riprendere a lavorare nel settore delle protesi sanitarie. Al gip Amelia Primavera e ai pm Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, Tarantini rivela un particolare: provò a chiedere aiuto al premier perfino sulle sue grane giudiziarie. Ma il premier sbottò: «”Giampaolo, un mese fa sono stato rinviato a giudizio, io presidente del consiglio, per prostituzione minorile, sto per avere mille processi tra Mills, Fininvest, Mondadori, e vieni a chiedere a me?”».
Pm: «Non ho capito. Lei chiese a Berlusconi di sistemarle qualche processo»?
Tarantini: «Chiesi se era possibile intervenire, visto che era il capo del governo, sui miei procedimenti. E lui mi rispose in questo modo: “Giampaolo, ma con tutti i problemi che ho io?”».
Gip: «Non è una richiesta proprio lecita».
Tarantini: «Certo».
Pm: «Come parlare di corda in casa dell’impiccato».
Tarantini: «E disse: “la mia più grossa opposizione non è la sinistra, che non vale niente. Quanto la magistratura”».
A telefonini spenti
Tarantini ai magistrati svela un altro dettaglio: prima di entrare ad Arcore tolse le batterie dal cellulare per non essere intercettato né individuato dalle celle.
«È una domenica di marzo e credo che dalle intercettazioni telefoniche si possa vedere. Atterriamo a Orio al Serio alle nove, stacchiamo la batteria, lui (Lavitola, ndr). Lui non so se stacca la batteria, arriviamo a Arcore, dopo una mezz’oretta, lui ci riceve».
I 500mila euro del premier
Si torna sul “tesoretto” dei 500mila euro.
Pm: «No perché lei, ha fatto l’imprenditore, sa che ci sono anche dei problemi fiscali, dei problemi legati alla normativa antiriciclaggio. Questi 500mila lei si è fatto un’idea di come sono transitati dalle casse di Berlusconi a quelle di Lavitola?
Tarantini: «No, non me ne fregava niente, mi scusi»
Pm: «Ma lui le ha confermato la storia del conto cifrato in Uruguay?».
T: «Sì»
Pm: «Anche al cospetto di Berlusconi»?
T: «Sì sì, a Berlusconi ha detto che ce li aveva su un conto estero…. Valter inizia lui il discorso e dice “Presidente i soldi ce li ho io, li ho messi lì perché lei si ricorda mi aveva detto”, e a quello non gliene poteva fregare di meno. Berlusconi non ci pensava proprio, in quel momento, erano le undici di sera».
Pm: «Ma stiamo parlando di 500mila euro… «
T.: «Dottore, stiamo parlando di uno che ha credo 20 miliardi di euro. Quindi, per me 500mila euro in questo momento sono come il Paradiso, per Berlusconi probabilmente… «.
Continua il racconto di Gianpi.
«Insomma, dico a Berlusconi: “Presidente guardi gradirei una cosa, siccome c’è stato questo equivoco, Valter mi dice che lei non me li può sbloccare finché io non trovo una attività , ma mi sono adoperato affinché trovassi un’opportunità  di lavoro, non voglio più fare il mantenuto. Lui gli dice: “Va bene, allora Valter girali”. E Valter mi dice: “Sì, te li do entro il primo ottobre”. Ho la certezza che i soldi non ci sono più, perché se uno ce li ha perché te li da il primo ottobre se stiamo al 3 agosto?».
Vacanze da 20mila euro
Gianpi aggiunge inoltre: «Si chiude il rapporto con Lavitola, e il giorno dopo mi dà  i soldi per partire in vacanza ed è finita lì».
Pm: «Cioè, Lavitola le ha dato i soldi per partire in vacanza?».
T: «Non a me, ma come famiglia… Ventimila euro, credo, o quindici o ventimila. Spesso erano in tagli da cinquecento»
I magistrati chiedono poi se Tarantini avesse problemi a cambiare quelle banconote. E Tarantini conferma.
T: «Se tu vai in casa perché non hai un centesimo e hai 3500 euro in taglio da cinquecento devi andare a fare pure, che ne so, la spesa al supermercato da trenta euro, vai con la (banconota) da cinquecento, hai difficoltà  che ti viene il resto… «. Dall’indagine è già  emerso che Lavitola riceveva il denaro da Berlusconi attraverso la segretaria personale del premier, Marinella Brambilla, già  sentita come teste dai pm.
«Coinvolto con Berlusconi? Sei finito»
Parlando dei 500mila euro che Lavitola aveva appena chiesto per lui al premier, l’imprenditore racconta: «Il presidente, senza neanche pensarci mezzo secondo, non gliene fregava assolutamente niente, disse: “Gianpaolo, per te non c’è problema, io ti auguro di poterti riprendere economicamente. Io sono dispiaciuto, comprendo che la tua situazione è avvenuta per cause indirette, per cause mie, perché sono coinvolto con te. Il senso – afferma Tarantini – era quello: ogni volta che qualcuno è coinvolto con Berlusconi è finito».
I contatti con Eni.
Nell’interrogatorio si affronta anche il filone degli affari di Lavitola con società  dello Stato, tra cui Finemccanica ed Eni. E delle ambizioni di Gianpi di entrare nell’orbita di Eni.
T.: «Allora l’unica mia ansia era quella di cercare un’attività  seria. Ho questo caro amico, che è Pino Settanni (non indagato), leader a livello nazionale delle discariche o delle bonifiche in Italia, aveva chiesto, visto che non era mai entrato, di essere inserito tra le grandi aziende con cui l’Eni faceva bonifiche (…). Siccome sono amico di questo imprenditore, egli mi avrebbe poi dato la possibilità  di gestire queste bonifiche direttamente con dei compensi abbastanza alti. E lui: “Giampaolo, guarda, se Eni mi inserisce tra le aziende partner per poter fare queste bonifiche, ben venga”».
Pm: «C’è un albo?».
T: «Sì c’è un albo. Lavitola mi diceva sempre. “Sì ho parlato con Scaroni, lo stiamo facendo, lo stiamo facendo”. Questo Pino che non è uno scemo, mi diceva: “Vedi che ti stanno prendendo in giro: perché se Scaroni (estraneo all’inchiesta, ndr) che è il presidente dell’Eni chiama questa subsocietà  e dice “guarda, accredita!”, quindi niente di anomalo o illegale, dice «accredita e fallo lavorare». Pino mi diceva: “Se ti danno quello te lo gestisci tu, ti faccio un contratto da direttore commerciale, facciamo due conti, ti prendi il compenso più alto, e tu diventi completamente autonomo. Parliamo che potevo gestire cifre di 30, 40, 50 mila euro al mese. E finalmente potevo levarmi… «.
Pm. «Dalla tutela di Lavitola».
T: «Di Berlusconi! Sì, perché io ero legato a Lavitola».


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CON LA FIOM OLTRE LA FIOM
«Tra tanti ciechi e monocoli siamo condannati a vedere; tra tanti illusi dobbiamo essere consci di tutta un’esperienza storica e attuale». Era il novembre del 1922. Lo scriveva Piero Gobetti – e oggi potrebbero ripeterlo le decine di migliaia di uomini e di donne mobilitati dalla Fiom nella consapevolezza dell’emergenza democratica che stiamo vivendo -, nel primo numero della «Rivoluzione liberale» uscito dopo la Marcia su Roma, quando quasi tutti, a destra come a sinistra, consideravano quella catastrofe poco più che un’increspatura sulla superficie piatta della storia.

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