by Sergio Segio | 3 Settembre 2011 6:50
Solo così riuscirete a vivere nell’euro senza patemi. La riflessione di Sinn, o se preferite il monito, è a largo raggio e investe, per sua stessa precisazione, i prezzi degli immobili, dei salari e dei prodotti. Ma se ritoccare all’ingiù le paghe degli operai italiani è lunare perché non concepire un prodotto made in Italy più democratico, più alla portata di tutte le borse? Il dibattito sulle conseguenze della nuova fase della Grande Crisi finora è rimasto confinato alla finanza pubblica, si è esteso tutt’al più alle variabili macroeconomiche ma non ha ancora lambito i comportamenti e le strategie del nostro sistema di imprese.
Sappiamo di sicuro che le aziende italiane negli anni che sono passati dal 2008 ad oggi non sono state con le mani in mano, mentre si battevano per difendere palmo a palmo le quote di mercato avviavano in fabbrica una ristrutturazione permanente che ha permesso loro di diventare più snelle, più efficienti. Hanno tagliato personale laddove era possibile, hanno applicato un pò di toyotismo, hanno raggiunto accordi per incrementare la produttività e tagliare l’assenteismo, hanno razionalizzato la filiera dei fornitori e, i più bravi, ottimizzato anche la gestione dei flussi finanziari. Ma tutto ciò potrebbe non bastare soprattutto a quelle imprese (moltissime piccole e medie) che esportano poco e sono giocoforza concentrate sul mercato interno. Da qui la necessità di riflettere sulla strategia di prezzo per presentare al pubblico un’offerta segmentata, in cui accanto al made in Italy di prima fascia possa prendere corpo un secondo prodotto nazionale di buona qualità ma a prezzi più contenuti.
È chiaro a tutti che la dinamica dei redditi in Italia è ferma e chi ha provato a fare qualche simulazione è arrivato alla conclusione che ci saranno almeno 15 milioni di famiglie con un introito mensile tra i 1.500 e i 1.800 euro. Si tratta di ceto medio basso, operai, giovani senza posto fisso e pensionati che trovano crescenti difficoltà a far quadrare i conti. E finora ci sono riusciti solo perché hanno intaccato le riserve di risparmio. Questi consumatori oggi se hanno necessità di mobili e arredo a basso costo vanno dalla svedese Ikea, se vogliono una felpa vanno dai francesi di Decathlon, se necessitano di cure dentistiche bussano dagli spagnoli di Vitaldent e se hanno bisogno di un parrucchiere si rivolgono ai negozi cinesi (tariffa 6 euro) spuntati come funghi nelle grandi città . Un buon prodotto o servizio low cost, in genere, riesce ad allargare addirittura il mercato e il caso di scuola è sicuramente quello delle linee aeree, che grazie al prezzo contenuto hanno fatto volare consumatori che altrimenti non l’avrebbero fatto.
Per praticare al pubblico prezzi bassi senza fare dumping o chiudere bottega il giorno dopo ci vuole un’ottimizzazione dei processi industriali e di quelli distributivi. È un’altra porzione di quella ristrutturazione permanente di cui abbiamo parlato. Alla fine se il prezzo sarà basso, la cultura aziendale dovrà comunque essere d’eccellenza perché si dovranno tagliare tutte le inefficienze e gli sprechi. Casi di imprese italiane che si stanno muovendo su questa strada ne esistono e gli addetti ai lavori fanno due nomi prima degli altri, Oviesse e Calzedonia, ci sono però interi settori nei quali manca per ora un’offerta di made in Italy democratico. Per citarne alcuni sicuramente l’edilizia residenziale, gli alberghi e le calzature. Eppure non è stato sempre così, basta pensare che i nostri albergatori della riviera romagnola sono stati quelli che hanno inventato le vacanze a basso costo, che hanno portato in Italia migliaia di connazionali di Sinn e che lo hanno potuto fare proprio grazie a un’ottimizzazione degli acquisti e a una standardizzazione delle procedure ante litteram.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/09/la-via-nuova-del-made-in-italy-conquistare-il-low-cost/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.