by Sergio Segio | 4 Settembre 2011 7:54
Si muovono tutti insieme, da Tokyo e Seul alle piazze europee e a Wall Street. Ballano i titoli azionari e in particolare quelli bancari, ballano in Europa gli “spread” tra i debiti sovrani non affidabili e il “Bund” tedesco, ballano i tassi d’interesse e le quotazioni delle materie prime e dei beni-rifugio. La fiducia dei consumatori e dei risparmiatori nei confronti dei rispettivi governi è in caduta libera.
I governi dal canto loro ce la mettono tutta per farsi sfiduciare e il nostro in questa poco commendevole gara è di gran lunga in testa. Forse conviene cominciare proprio da questo punto, cioè dal cortile di casa nostra che si è da tempo trasformato in una discarica d’immondizia i cui rifiuti si accumulano senza la minima prospettiva che possano sparire.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando ieri mattina in videoconferenza al “meeting Ambrosetti” di Cernobbio e rispondendo ad alcune osservazioni critiche del presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, ha chiarito senza peli sulla lingua la natura degli errori compiuti dai governi italiani negli ultimi dieci anni; per l’esattezza dal 2001 ad oggi, cioè otto anni di governi Berlusconi con la parentesi di due anni del debolissimo governo Prodi sorretto da due soli voti di maggioranza.
Gli errori sono stati quelli di aver sottovalutato il peso del debito pubblico e di non aver fatto nulla per farlo diminuire; di essersi accorti solo due settimane fa che quel debito era diventato l’obiettivo principale dell’assalto dei mercati; infine d’aver dovuto predisporre sotto la pressione dell’emergenza una seconda manovra che sembrava più attenta alle ripercussioni elettorali che alla gravità della situazione europea e italiana.
Dopo questa diagnosi – del resto largamente condivisa in Italia e in Europa – la terapia suggerita dal presidente della Repubblica è quella di anticipare il pareggio del bilancio dal 2014 al 2013, con misure chiare ed efficaci senza preoccuparsi della loro maggiore o minore popolarità avviando contemporaneamente misure mirate alla crescita dell’economia reale.
Alla domanda sulla tenuta del governo Napolitano ha risposto che il governo c’è e ci sarà fintanto che disporrà della maggioranza in Parlamento e che pertanto ogni ipotesi d’un governo diverso o d’uno scioglimento anticipato delle Camere è fuori dal quadro d’una democrazia parlamentare come la nostra.
Infine ha assicurato che il Parlamento approverà la manovra entro i tempi stabiliti e cioè entro la metà di settembre e forse prima e che a questo risultato daranno il loro contributo anche le opposizioni che, quale che sia il loro voto, non ricorreranno a manovre ostruzionistiche. «L’Italia farà il suo dovere per l’Europa e per se stessa, di questo siamo certi»: così ha concluso il capo dello Stato.
Parole chiare e ferme anche se la frase finale è più un auspicio che una certezza. Noi, tanto per dire, non siamo affatto certi che il governo farà il suo dovere. Finora non l’ha fatto, come lo stesso Napolitano ha rilevato nel suo intervento e non c’è purtroppo alcuna ragione al mondo per pensare che cambierà nei prossimi giorni.
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Questi decreti (siamo al terzo negli ultimi due mesi) hanno una caratteristica comune: sono come la tela di Penelope, filata di giorno e disfatta la notte. L’ammontare oscilla tra i 48 e i 45 miliardi ma tutto il resto cambia in continuazione.
Chiedo scusa, c’è un’altra caratteristica comune ai tre decreti: nessuno di essi prevede misure capaci di rilanciare la crescita. Sembra che la crescita sia fuori dalla strategia di questo governo.
Il rigore colpisce gli statali, i lavoratori dipendenti con redditi fino a 50.000 euro lordi, i pensionati. Colpisce gli enti locali e le cooperative. Colpisce e colpirà il “welfare”.
Dunque un rigore socialmente partigiano in un’economia a crescita zero. La novità è arrivata con la stesura del terzo decreto sotto la forma del maxi-emendamento presentato tre giorni fa da Tremonti: al posto del contributo Irpef per i redditi superiori a 90.000 euro che avrebbe dato un gettito complessivo di 3,8 miliardi, abolito da un colpo di mano Sacconi-Calderoli caldeggiato da Berlusconi, il ministro dell’Economia ha tirato fuori dal cilindro la lotta contro l’evasione dalla quale si aspetta nei prossimi tre anni un gettito di 3,8 miliardi di euro. Non un soldo di più né uno di meno, quanto basta a lasciare i saldi invariati con grande giubilo generale.
In realtà il giubilo non è molto generale nella maggioranza e neppure in Confindustria, se ne duole perfino il cuore del premier che ha ripreso a sanguinare. Il popolo degli evasori infatti fa parte integrante della clientela berlusconiana. È stato vezzeggiato in tutti i modi negli otto anni del governo Berlusconi-Tremonti; il governo dei condoni, l’ultimo dei quali “scudato” con il 5 per cento di tassa, una trattenuta ridicola, un regalo in piena regola a chi aveva portato all’estero i suoi capitali.
Se quei capitali fossero stati colpiti con un’aliquota del 30 per cento com’è avvenuto da parte dei paesi europei che hanno effettuato analoghi condoni, il gettito per l’erario sarebbe stato di oltre 40 miliardi. Tremonti ne prenderà 3,8 e per ottenerli minaccia sfracelli che culmineranno con la pubblicazione dei nomi degli evasori e con il carcere dai tre ai cinque anni per chi evade più di tre milioni.
In un paese dove il grosso dei lavoratori autonomi dichiara un reddito annuo di 15.000 euro le patrie galere sarebbero costrette ad aprire i portoni a qualche centinaio di migliaia di persone con buona pace di Marco Pannella e dei suoi digiuni. Ma non avverrà niente di tutto ciò. Tremonti si contenta d’un gettito su misura. Gli basta rimpiazzare il gettito della super-Irpef e se il cuore di Silvio sanguina per così poco, a lui non gliene importa niente, anzi ci gode.
Ma li otterrà quei 3,8 miliardi di spicciolame? A Bruxelles non ne sono affatto sicuri e alla Bce neppure. Come mai? L’evasione in Italia supera i 130 miliardi. La cifra attesa dall’Economia rappresenta dunque il 3,2 per cento della stima totale. Vincenzo Visco, quand’era ministro delle Finanze, recuperò in un esercizio 30 miliardi dall’evasione. Eppure nessuno finì in galera.
Perché dunque sia Bruxelles sia Francoforte sono così preoccupati?
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La vera preoccupazione delle Autorità europee riguarda la credibilità del governo e la sfiducia dei mercati nel debito sovrano italiano. Quella sfiducia è alimentata da vari elementi.
Il primo proviene dalla contrazione economica americana e dall’evidente declino politico del presidente Obama. Il secondo dalla contrazione economica europea e dall’inesistenza d’un vero governo dell’Unione. Questi due elementi si riflettono sull’Italia che, di suo, ci aggiunge la non credibilità del governo, del premier, del suo ministro dell’Economia e del loro maggior alleato nella persona di Umberto Bossi.
La contrazione economica sarà inevitabilmente accentuata dal rigore. In Italia il rigore è tanto più sgangherato quanto più è affidato a incrementi di tasse regressive che colpiranno principalmente le fasce basse del reddito. La pressione fiscale (lo dice la Banca d’Italia) nel biennio 2012-13 arriverà alla cifra record del 44,5 per cento del Pil e forse anche di più se il Pil non crescerà dell’1,2 come prevede ancora il governo, ma soltanto dello 0,7 come sostiene il Fondo monetario internazionale.
Un governo che gioca con la tela di Penelope cambiando la sera quello che aveva deciso la mattina; un governo dove Berlusconi, Tremonti e Bossi si fanno i dispetti un giorno sì e l’altro pure, sapendo però che debbono restare aggrappati l’uno all’altro per non cadere tutti insieme; un governo in cui sia Berlusconi sia Tremonti sono ricattabili e ricattati; infine un governo il cui Capo sta per ore al telefono con malfattori e procacciatori di prostitute, confidando ad essi i suoi affanni e rifornendoli di denaro contante; ebbene, un governo di tal fatta è il problema.
Napolitano ha ragione quando ci ricorda che fino a quando il governo disporrà d’una maggioranza parlamentare lui non può né vuole pensare a licenziarlo. Ma che cosa accadrà se nei prossimi giorni il fandango dei mercati tornerà ad infuriare?
L’otto settembre (pessima data nella nostra memoria) si riunirà a Francoforte il consiglio direttivo della Bce. Uno dei temi – ma direi il tema – all’ordine del giorno sarà l’aiuto dato alla Spagna e soprattutto all’Italia con l’acquisto dei loro titoli di Stato sul mercato secondario. A metà agosto quell’aiuto fu complessivamente di 22 miliardi, nella settimana successiva di 12, nella terza di 4. Non sappiamo domani, ma sappiamo che il consiglio dell’otto settembre non sarà affatto tranquillo.
Mi domando: se la tempesta infuriasse non come Irene ma come Katrina, che cosa accadrà ? Se il governo non è credibile né per i mercati né per l’Europa, noi che cosa facciamo?
Mi permetto, con devoto rispetto e profonda amicizia e stima, di sottoporre questa domanda al capo dello Stato. E a chi altro se non a lui?
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