La Svizzera conferma l’addio al nucleare
Il Consiglio degli Stati della Svizzera, la camera alta del Paese elvetico, ha confermato ieri la decisione di abbandonare progressivamente il nucleare. I toni però sono meno perentori rispetto al testo licenziato l’8 giugno scorso dal Consiglio nazionale (la Camera bassa), dopo che quattro ministre donne dell’esecutivo – tra cui la democristiana Doris Leuthard, titolare dell’Ambiente e dell’Energia, ex nuclearista convinta che per prima ha cambiato idea in seguito alla tragedia di Fukushima – si sono fatte promotrici della svolta no nuke.
La maggioranza dei senatori – 30 voti a favore e 8 contrari – ha approvato un testo che impegna il governo a non rilasciare più autorizzazioni per la costruzione di nuove centrali e soprattutto a elaborare un piano energetico globale nazionale che punti a sostituire l’attuale 40% di produzione dall’atomo con le fonti rinnovabili (l’orientamento è non incrementare nemmeno il fossile, fermo al 4,9% del totale). In sostanza, le cinque centrali nucleari del Paese verranno spente alla fine del loro ciclo vitale di 50 anni o se non supereranno la prossima serie di controlli, considerati più restrittivi degli stress-test europei. Le più antiche, Mà¼hleberg e Beznau, del 1969, andranno in pensione entro il 2020.
Rigettate invece le mozioni approvate dal Consiglio nazionale che imponevano di abbandonare anche la ricerca sull’atomo e sulle nuove tecnologie nucleari. «Non sarà pronunciata nessuna proibizione di tecnologia», recita la clausola introdotta dai senatori salutata dalle lobby nucleariste del Paese come una breccia a ipotetiche generazioni future di impianti atomici. Economiesuisse, la Confindustria svizzera, plaude la postilla aggiunta dai senatori come il ritorno «ad una politica energetica pragmatica». Una clausola «contraddittoria» invece per sinistra e Verdi, che «porta solo confusione». La maggioranza dei senatori però sembra concorde nell’affermare che «non ci sono ambiguità »: si tratta solo, dicono, di trovare un testo che possa essere accettato anche dai fautori dell’atomo. Ed è ancora la consigliera federale Leuthard a spronare il cambiamento: «È giunta l’ora – esorta in Aula prima del voto – di puntare sulle rinnovabili in modo da recuperare il ritardo fin qui accumulato» e di «investire nel futuro, per la nostra economia e per i nostri figli». Perché, ha ricordato la ministra, ogni nuova centrale costerebbe almeno 11 miliardi di franchi (quasi 9 mld di euro, ndr)». Mentre per la riconversione si spenderà al massimo lo 0,8 del Pil, tra i 2 e i 4 miliardi di euro l’anno, secondo Bruno Oberle, direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente.
Il dossier ora torna al Consiglio nazionale che potrà solo accettare o no le modifiche apportate dai senatori al testo originario. Spetterà poi alla ministra dell’Ambiente predisporre il nuovo piano energetico nazionale. Sempre che l’esecutivo venga riconfermato a dicembre (ma su Leuthard non sembrano esserci dubbi) dopo le elezioni del 23 ottobre prossimo per il rinnovo del Parlamento. Il popolo, comunque, grazie allo strumento più usato nella democrazia elvetica, avrà l’ultima parola con un eventuale referendum.
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