La sfida palestinese: «Stato a pieno titolo all’Assemblea Onu»

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GERUSALEMME — 194. Un numero del destino. 194, come la risoluzione Onu sul diritto al ritorno dei palestinesi del Quarantotto. 194, come la poltrona (già  preparata: da un falegname di Jenin, in legno d’ulivo e velluto blu con la scritta oro) che la Palestina potrebbe occupare fra una settimana, se il Palazzo di Vetro dirà  sì alla richiesta d’ammissione del 194° Stato membro. 194, più o meno quanti i viaggi all’estero che l’Autorità  palestinese s’è sobbarcata in questi mesi, l’ultimo negli atolli del Pacifico, per convincere il mondo a votare sì. «Andremo a New York con un ramoscello d’ulivo in mano», dice Abu Mazen. Un ulivo in una mano e un dossier nell’altra, parafrasando Arafat. E sperando che il ramoscello non cada: «Vogliamo un seggio all’Onu e il pieno riconoscimento d’uno Stato entro i confini del 1967, con Gerusalemme capitale. La nostra opzione è il Consiglio di Sicurezza. Quanto alle altre opzioni, decideremo al momento opportuno».
Indietro non si torna. A parole, almeno. Tanta solennità  leva l’unico dubbio rimasto, sulla procedura: i palestinesi non bypasseranno il Consiglio di Sicurezza, dove chiederanno la piena ammissione e si scontreranno col veto americano, riservandosi poi l’alternativa dell’assemblea (servono 129 Stati su 193: i favorevoli sono 122) che appaierebbe la Palestina al Vaticano — «Paese osservatore» — e le consentirebbe di trascinare Israele alla Corte dell’Aia, in un processo internazionale per le colonie. «Se ci riconoscono — avverte Abu Mazen —, il conflitto con Israele non sarebbe fra territori contesi, ma fra due Stati: un occupante e un occupato». Dietro i proclami, in realtà , si tratta: l’Autorità  palestinese non ha ancora mostrato il testo della domanda d’ammissione e, chiarendo che «non vogliamo isolare Israele, ma solo il suo governo», in queste ore riceve gli europei (la baronessa Ashton), il Quartetto (Tony Blair), gli americani (Dennis Ross) che propongono vie meno drastiche. Perfino l’irremovibile Bibi Netanyahu, fuori tempo massimo, da Gerusalemme offre ai palestinesi uno status «più elevato» all’Onu, purché non sia il riconoscimento unilaterale.
«Siamo disponibili solo a proposte sensate», è netto il ministro degli Esteri di Ramallah, Al Malki. Astenersi perditempo: Abu Mazen sa che venerdì (quasi) tutto in quell’aula sarà  a lui favorevole. E che calerà  il gelo, quando più tardi toccherà  a Netanyahu: «L’assemblea dell’Onu — replica Bibi — non è esattamente il posto in cui Israele ha buone possibilità . Ma io vado a parlare, perché ogni Paese possa sentire la verità . L’Anp ha sempre evitato colloqui diretti. La pace non s’ottiene con iniziative unilaterali». «Dobbiamo urlarlo: dall’Egitto alla Turchia, dalla Giordania alla Palestina, siamo isolati. Un disastro diplomatico», s’indigna Tzipi Livni, leader dell’opposizione israeliana. «Quel che Bibi ha perso in due anni e mezzo d’immobilità  â€” è duro l’editorialista Nahum Barnea — non lo recupererà  parlando all’Onu». L’Africa, l’Asia, il Centro e il Sudamerica hanno promesso l’appoggio ai palestinesi: molto più dei 75 Paesi che votarono per l’indipendenza del Kosovo. Siccome però i voti si pesano, va detto che i kosovari avevano dalla loro gli Usa e l’Europa, incocciando solo nel veto russo, mentre la Palestina arriva col no di Obama e la Ue spaccata: favorevoli Londra, Madrid e scandinavi, contrari Germania, Italia, Polonia…
Vincere, probabilmente Abu Mazen vincerà . Ma che cosa? «Qualche bandiera palestinese sui palazzi dell’Onu», ironizza Hamas, contraria a questa mossa «rischiosa» del rivale palestinese. Qualche dubbio, ce l’hanno anche a Ramallah. L’Anp ha commissionato a giuristi di Oxford un parere e la risposta l’ha gelata: la conquista del seggio Onu implicherebbe la perdita di quello storico dell’Olp, «osservatore permanente» che dal ’64 tutela tutto il popolo palestinese, compresa la metà  della diaspora. Il nuovo seggio avrebbe rappresentanza solo per Cisgiordania e Gaza. Con buona pace dei profughi in Libano, Siria e Giordania. Quelli della risoluzione 194. Che nel ’48 appesero le chiavi alle porte, prima d’andarsene. E lì le lascerebbero per sempre.


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