La nuova supertassa sui ricchi stanga due volte pensionati e statali e salva chi vive di rendita
ROMA – Quattro cittadini. Quattro contribuenti. Tutti con un reddito complessivo annuo pari a 450 mila euro. Quindi tutti solidali alla causa nazionale del pareggio di bilancio? No, solo tre su quattro e con differenze abissali. Le storture prodotte dal contributo di solidarietà – riproposto all’ultimo, ma in forma light, nella manovra approvata mercoledì in Senato – rischiano di finire in una serie di ricorsi alla Corte Costituzionale, già pronti quelli di alcuni magistrati e professori universitari. Perché il prelievo straordinario non è equo, discrimina fra lavoro e capitale, danneggia in modo ingiustificato statali e pensionati.
La simulazione, realizzata dal Centro Europa ricerche, calcola la supertassa per quattro tipologie di portafogli. Il dirigente pubblico che guadagna 350 mila euro e ha 100 mila euro di altri redditi (da capitale, fabbricati o altro) dovrà allo Stato 26 mila euro l’anno. All’estremo opposto, chi vive solo di rendite finanziarie per 450 mila euro (tassate alla fonte al 20%, meno della metà dell’ultimo scaglione Irpef) non versa nulla, perché i suoi introiti non entrano in dichiarazione. In mezzo, il pensionato d’oro con 150 mila euro in busta paga e 300 mila euro investiti, e l’imprenditore da 350 mila euro l’anno e 100 mila euro in titoli. Ebbene, il prelievo è di 7.500 euro nel primo caso, 4.500 nel secondo. Perché?
Statali e pensionati pagano il contributo (non deducibile) per effetto, rispettivamente, della manovra del 2010 (quindi da gennaio) e della manovra di luglio (dal mese scorso). E nella misura del 5% sopra i 90 mila euro e del 10% sopra i 150 mila euro. Queste due categorie sono state esentate dall’applicazione della nuova supertassa, licenziata due giorni fa (il 3% sopra i 300 mila euro). Eppure, si legge nel maxi-emendamento del governo, quei redditi (da lavoro dipendente e da pensione) rientrano nella verifica del superamento dell’asticella posta a 300 mila euro. Se questo limite è superato (come nei primi due casi), quei contribuenti sono vessati tre volte: al 5, al 10 e al 3%. Mentre i privati o autonomi super-ricchi si limitano al 3%. E i rentiers brindano alla solidarietà , ma degli altri.
«Un vulnus fortissimo, mai verificatosi nella storia della finanza pubblica italiana. Un capovolgimento delle regole dell’Irpef a cui pure si ispirarono Visentini nel 1976, per il contributo straordinario dell’epoca, e Prodi per l’eurotassa, spalmata seguendo la progressività dei redditi», commenta Salvatore Tutino, tra i fondatori del Cer. Analogo disagio colto anche dalla Cgil. «Queste disparità tra lavoratori pubblici e privati sono incostituzionali», tuona Michele Gentile, responsabile del Dipartimento settori pubblici del sindacato della Camusso, che fa un ulteriore calcolo. «Mentre per un privato con un reddito Irpef pari a 310 mila euro annui il contributo di solidarietà (3%) netto è pari a 167 euro annui, ovvero meno di 14 euro al mese, allo stesso reddito ma di un lavoratore pubblico vengono invece detratti 19 mila euro annui, che sono pari a 1.583 euro mensili, e che per lo più, a differenza del primo, non sono deducibili». Un «mostro giuridico» che anche la Cgil porrà al vaglio della Consulta.
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