La manovra è legge con 314 voti Le critiche di imprese e opposizione

by Sergio Segio | 15 Settembre 2011 6:50

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ROMA — In un crescendo di tensione, dentro e fuori Montecitorio, la Camera dei deputati ha dato il via libera definitivo alla manovra. Ancora polemiche, scontri di piazza davanti al Parlamento e la leader degli industriali, Emma Marcegaglia, che condanna la finanziaria di ferragosto da 53,3 miliardi come «tutta tasse». Il decreto che corregge i conti dello Stato, più volte modificato in corsa, diventa legge alle otto di sera con 314 sì e 300 no, dopo settimane di battaglia tra governo, opposizioni e sindacati.
Alle tre del pomeriggio, in diretta tv, il governo incassa la sua cinquantesima fiducia. I voti favorevoli sono 316 compreso quello del premier Berlusconi, 302 i contrari e 11 gli assenti. Tra gli scranni vuoti si notano quelli dell’ex pd Antonio Gaglione, recordman di assenze e del pdl Alfonso Papa, in carcere a Poggioreale per l’inchiesta P4.
Domenico Scilipoti, deputato di Popolo e Territorio ormai noto come «il re dei peones», lascia Montecitorio con un sorriso largo così. Tra gli ordini del giorno approvati a raffica per non scontentare nessuno passa anche il suo, che impegna il governo a valutare la possibilità  di procedere al «tanto vituperato condono fiscale». Il più «responsabile» dei deputati di maggioranza si è visto approvare una sanatoria tombale, che se mai diventasse legge azzererebbe i contenziosi tra Stato e cittadini relativi agli ultimi cinque anni. E non è tutto, perché nell’odg di Scilipoti, che ha ottenuto il parere favorevole dell’esecutivo, c’è anche il condono edilizio «per i piccoli abusi» residenziali.
Da Perugia la presidente di Confindustria, Marcegaglia, chiede «riforme profonde» e ricorda il «balletto imbarazzante» che ha scandito le tappe della manovra d’estate. Dice che i mercati percepiscono l’Italia come «meno credibile della Spagna» e accusa il governo di aver fatto perdere credibilità  al Paese. Altrettanto duri i toni delle opposizioni. Walter Veltroni annuncia il no del Pd alla fiducia e chiede un governo nuovo per gestire l’emergenza: «Berlusconi si dimetta, per il bene dell’Italia». Il nostro, replica al premier l’ex segretario, «non è un Paese di schifo». Pier Luigi Bersani ritiene «incredibile, impensabile e drammatico che si possa andare avanti così fino al 2013», Antonio Di Pietro (Idv) teme la «rivolta sociale» e il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, avverte il rischio Grecia: «Maggioranza irresponsabile». Il terzo polo è compatto contro un governo che «pur di sopravvivere», accusa il finiano Nino Lo Presti, «trascina l’Italia nel baratro». Ma gli accenti più aspri sono quelli dell’Idv, con il capogruppo Massimo Donadi che mette Berlusconi «sul banco degli imputati» e chiede per lui «sentenza di condanna». L’accusa? «Alto tradimento dell’interesse nazionale».
Intanto il debito pubblico fa un balzo di dieci miliardi rispetto a giugno e raggiunge la cifra record di 1.911,807 miliardi. Sono dati di Bankitalia, che nel supplemento al Bollettino statistico riferisce di un aumento su base annua delle entrate tributarie a 37,6 milioni. Oggi il ministro Tremonti incontrerà  Confindustria e Abi per parlare di nuove misure «per la crescita» e rilancio delle infrastrutture (strade, autostrade, banda larga). Misure destinate a confluire in un altro decreto, al quale stanno lavorando anche i ministri Altero Matteoli e Paolo Romani.
Da registrare il no alla manovra di Antonio Martino, liberale del Pdl che fondò Forza Italia, e lo strappo della Svp, i cui deputati votano contro la fiducia dopo una lunga serie di astensioni. Prima delle dichiarazioni di voto finali, in un clima incandescente, gli ordini del giorno passano a valanga e Rosy Bindi, presidente di turno, lascia l’Aula sconsolata: «Se avessero un valore la manovra andrebbe riscritta…». Il Pd, forse per una svista, si vede aprire uno spiraglio per la revisione dell’articolo 8 sulla libertà  di licenziamento. E il Fli spera che non resti lettera morta la proposta che impegna Palazzo Chigi a rivedere i benefici fiscali al Vaticano, a cominciare dall’Ici sugli immobili a uso commerciale. «Non è un voto contro la Chiesa — spiega il promotore, il finiano Enzo Raisi —. Ma un voto per l’equità  fiscale».

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