La Lega frena i suoi sindaci ribelli per Tosi la minaccia di espulsione

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MILANO – La voce è girata per tutto il giorno: il consiglio federale della Lega (riunito ieri in via Bellerio, dopo una convocazione improvvisa alla mezzanotte di domenica) esaminerà  la proposta di espulsione di Flavio Tosi. Al sindaco di Verona, diceva il tam tam insistente, vengono contestate le forti prese di posizione contro la manovra del governo e, soprattutto, di aver mandato un avviso di sfratto a Berlusconi (l’ultimo domenica, in un’intervista). Tosi, che è un fedelissimo di Bobo Maroni, non è nuovo a queste uscite, il passo indietro del premier aveva cominciato a invocarlo dopo la sconfitta subita dal centrodestra alle ultime amministrative. Da quel momento è stata un’escalation di veleni contro il sindaco di Verona, che insieme a quello di Varese Attilio Fontana, anche lui maroniano, guida la protesta dei primi cittadini leghisti contro la manovra. Roberto Calderoli li aveva già  avvertiti: i nostri sindaci non devono parlare di politica nazionale. E la Lega “di famiglia”, a cominciare dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone, era intervenuta per chiedere una decisa messa in riga dei “dissidenti”. Magari con l’espulsione.
Ma così ieri non è stato, anche se il capogruppo al Senato Federico Bricolo è tornato a prendersela con Tosi e soci, leghisti «fuori linea». E in serata è lo stesso Maroni a derubricare a «voci certo messe in giro da qualcuno, ma prive di qualsiasi fondamento» la cacciata di Tosi. E così il “federale”, per dirla con un altro sindaco ipercritico con la manovra (e con il premier) si è riunito per un’ora e mezza «per non decidere nulla». In realtà  qualcosa hanno concordato: una grande tregua in vista dell’appuntamento di domenica, giorno clou della tradizionale discesa del Po con tanto di cerimonia dell’ampolla, quando Umberto Bossi e i principali big leghisti parleranno da un palco a Venezia. Eccola qui la tregua: bisogna dare un fortissimo segnale di unità  in un momento difficile, e possibilmente attribuire alla Lega il merito di aver migliorato la manovra, «perché le pensioni non sono state toccate – spiega un dirigente di primissima fascia – e perché ai Comuni abbiamo evitato due miliardi di tagli rispetto all’impostazione precedente».
Per rafforzare questa posizione, ma anche per venire incontro in qualche modo alle richieste dei più inferociti nei confronti dei borgomastri pasdarà n, il “federale” ha approvato un delibera che vieta ai sindaci leghisti di partecipare alle manifestazioni dell’Anci contro la manovra. Delibera votata anche da Maroni. La ratio del provvedimento la spiegano così, in via Bellerio: il Carroccio è l’unico partito che si è battuto per migliorare la manovra, non c’è motivo perché i suoi sindaci si uniscano alle proteste promosse da loro colleghi di altri partiti. Sarà , ma c’è un problema di non poco conto. Il varesino Fontana è il presidente dell’Anci in Lombardia, e se prendesse alla lettera il diktat lanciato ieri dovrebbe quanto meno dimettersi dall’incarico. O, forse, dalla Lega. Al momento si sa solo che il sindaco di Varese è parecchio abbacchiato. Ma questo è il prezzo da pagare in nome di un’unità , molto di facciata, da sbandierare domenica sulla Riva degli Schiavoni. Con un’idea da far balenare ai moltissimi che non hanno preso affatto bene la scelta di abolire le Province per sostituirle con non meglio precisati «enti intermedi»: se non ci saranno più le Province, ecco l’osso da lanciare al popolo del Carroccio, sarà  più facile far sparire anche le Prefetture.
Sì, dell’appuntamento di Venezia al “federale” si è parlato molto. E con toni preoccupati. Fanno impensierire i leghisti gli annunci via web che arrivano da antagonisti e centri sociali, intenzionati a rovinare la festa a suo di contestazioni. Qualcuno ha proposto di utilizzare per il servizio d’ordine la Guardia Padana, ma è stato accolto da risatine molto esplicite. Poi Maroni ha tagliato corto: «Dell’ordine pubblico mi occupo io, da ministro. Comunque non c’è nessun allarme particolare, i segnali che abbiamo sono gli stessi degli altri anni, e non davvero è il caso di drammatizzare».


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MONTI BIS Un’agenda al Quirinale

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Potrebbe essere un bis mai visto. Un caso illogico di ripetizione dell’inedito. Il Monti 2 non si sistemerebbe più a palazzo Chigi, ma al Quirinale. E da lì confermerebbe tutte le politiche rigoriste per dare all’Europa e ai mercati ogni rassicurazione richiesta. La continuità  insomma, con altri mezzi e da un altro palazzo. Il trasloco del professore consentirebbe di giocare alle elezioni, liberando la sedia per il vincitore. Non l’agenda. Quella sarebbe garantita dal nuovo presidente della Repubblica, erede designato di re Giorgio. Nominato per completarne l’opera.

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