by Sergio Segio | 29 Settembre 2011 7:25
Autunno occidentale Tre anni dopo il fallimento di Lehman Brothers l’economia è ancora in crisi: a Wall Street gli «indignados» chiedono che paghi la finanza
176 «primavere» i Paesi europei in Medio Oriente più «indignati»
I Paesi maggiormente Le proteste spagnole coinvolti dal 18 dicembre del 15 maggio hanno 2010 – quando Mohamed contagiato tutto Bouazizi, tunisino, si è dato il vecchio continente: fuoco per protesta – a oggi da Parigi a Londra, sono Algeria, Bahrein, passando per Roma, Egitto, Tunisia, Yemen, Atene e Berlino. Giordania, Gibuti, Libia e Sono scesi in piazza Siria. Incidenti minori sono giovani, precari, avvenuti in Mauritania, pensionati, disoccupati, Arabia Saudita, Oman, ricercatori, Sudan, Somalia, Iraq, disillusi della politica Marocco e Kuwait e della finanza globale
C’era una volta quella roba noiosa chiamata politica, che richiedeva un po’ di preparazione e molte ore nelle sedi di partito, per imparare a farsi crescere il pelo sullo stomaco, abbandonare in fretta gli ideali e vendersi agli interessi dell’establishment. C’è ancora, a dire il vero, però l’enorme ondata di proteste che sta scoppiando dal Cairo a New York, da Madrid a Nuova Delhi, potrebbe condannarla a morte.
In quelle piazze cresce la nuova generazione dell’antipolitica: in Spagna li chiamano indignados, in Egitto sono i ragazzi della primavera araba, l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs li definisce i Millennials, e il «New York Times» li ha battezzati giovani del non voto. Le caratteristiche, però, sono simili ovunque. Ragazzi svegli tra i quindici e i trent’anni, ma anche più anziani, che hanno studiato; usano Internet, smartphone e computer con la mano sinistra; spesso non lavorano; sono liberal sui temi sociali e razziali; vogliono difendere l’ambiente senza paralizzare la crescita; pensano che i vecchi politici siano solo dei corrotti in mano ai grandi interessi; stanno perdendo fiducia nelle istituzioni tradizionali della democrazia perché tanto vengono sempre corrotte dal potere. Vogliono uno Stato che li aiuti a realizzare i loro progetti, impicciandosi il meno possibile della loro vita. Gente come Wael Ghonim, che ha inventato la rivoluzione in Egitto con i messaggi su Facebook; o Josh, studente di Denver che ha visto la protesta Occupy Wall Street a New York, è salito sopra un aereo e adesso gestisce il centro stampa di Zuccotti Park: «Il potere dice – non te lo regala nessuno. Se lo vuoi, te lo devi prendere».
Le radici forse affondano nel movimento no global, nato dalle proteste di Seattle contro la Wto, o nell’etica degli «hacker buoni» che si considerano custodi della libertà , come il leader della comunità newyorchese Emmanuel Goldstein, che aveva rubato questo suo nome di battaglia dall’avversario del Grande Fratello nel romanzo di Orwell. Da allora, però, i giovani dell’antipolitica hanno fatto parecchia strada. Sotto forme diverse, spinti dalla crisi economica globale, li abbiamo visti in azione al Cairo, in Grecia, a Londra, in Spagna, Israele, India e adesso anche a New York. Ma ci sono pure dove non si vedono. Qualche anno fa eravamo nello Yemen, patria di al Qaeda, durante il ramadan. Il nostro albergo di Sana’a organizzava cene serali per la fine del digiuno giornaliero, a cui potevano partecipare anche le ragazze. Arrivavano coperte da veli che lasciavano spazio solo agli occhi, ma sotto portavano tacchi a spillo, jeans e telefonini, con cui discutevano in perfetto inglese di un solo sogno: andare a studiare in Europa o in America, per lasciarsi alle spalle la condanna della loro società immobile.
Dove voglia andare questa generazione, dopo le proteste spontanee organizzate sulla rete, è più complicato capirlo. Incendiari a vent’anni e pompieri a cinquanta? I pirati di Kreuzberg sono entrati nel Parlamento di Berlino, con loro grande sorpresa, segnalando allo stesso tempo la possibilità di cambiare la vecchia politica, o il rischio di venirne assorbiti. Se anche Facebook e Google scendono in campo, chiunque si può candidare. Però molti di loro, come Josh di Denver, pensano che votare sia inutile, tanto è vero che «anche Obama è diventato uno strumento di Wall Street». Questi ragazzi potevano essere un serbatoio naturale di consensi per la sinistra, ancora in cerca di identità dal crollo del Muro di Berlino, ma i suoi leader non sono riusciti ad intercettarli. Il neocentrismo liberista di Bill Clinton e Toni Blair ha rappresentato forse la redenzione realistica dei baby boomers, dopo il collasso delle illusioni sessantottine, però non parla ai Millennials. Anzi, li ripugna, perché non hanno alcun peccato originale da farsi perdonare. Vogliono solo una politica più attenta al loro desiderio di partecipare, studiare, lavorare. A destra invece l’antipolitica ha preso la deriva razzista di alcuni gruppi nordeuropei, o quella anti tasse dei Tea Party americani, che però sono soprattutto persone di mezza età , non propongono idee particolarmente nuove e vogliono conservare la propria influenza sul vecchio establishment, piuttosto che rovesciarlo.
Sachs è convinto che alla fine i Millennials entreranno nella politica e riusciranno a cambiarla, costruendo una società meno basata sul consumismo e più sull’umanesimo responsabile. Il tempo sta scadendo, però, prima di perderli per sempre.
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