La Cina non salva, compra

by Sergio Segio | 27 Settembre 2011 7:31

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 L’Europa «salvata» dalla Cina, che fa incetta di titoli di Stato, da Atene a Roma passando per Madrid, forte di un portafoglio gonfio di 3,2 miliardi di dollari di riserve valutarie? Un’ipotesi tornata attuale nei giorni scorsi, assieme alle notizie di contatti tra il governo Berlusconi e Pechino, con l’Italia che avrebbe chiesto a due dei maggiori fondi sovrani del mondo, il China investment corp (Cic) e lo State administration of foreign exchange (Safe), di comprare dosi massicce di Btp.

Ma il vice presidente del Cic, Gao Xiqing, nel corso della riunione del Fondo monetario internazionale (Fmi) dello scorso fine settimana si è schermito: il suo fondo non può essere considerato un «salvatore» di altri paesi, perché «noi abbiamo le nostre politiche e i nostri problemi». E il capo della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, è sembrato dettare sempre a Washington delle condizioni quando ha suggerito di adottare «misure di consolidamento fiscale energiche e credibili», perché la crisi «deve essere risolta subito per stabilizzare i mercati».
Secondo quanto riportato dal China Daily, in un incontro a porte chiuse del direttivo del Fmi, Zhou ha detto che «elemento essenziale di cooperazione è che ogni paese prenda in mano la situazione, vari misure ben mirate e metta ordine in casa propria». La Cina – dove il Partito comunista (Pcc) pianifica la politica economica e la mette in atto sostanzialmente senza ostacoli – chiede che l’Europa tagli strutturalmente la spesa pubblica e che smetta di «vivere al di sopra delle proprie possibilità ».
Solo a quel punto la Repubblica popolare sarebbe disposta a spingere il suo soccorso oltre i buoni del tesoro di Stati europei già  acquistati nei mesi scorsi. Per questo motivo, ha spiegato Zhou, «è troppo presto» per vedere se la Cina potrà  concedere un ulteriore aiuto.
Insomma, come ha detto ieri a Tgcom Samih Sawiris, imprenditore edile e fratello del più noto Naguib (azionista di Wind), «Pechino non è Babbo Natale». E infatti ha già  pronte le contropartite «politiche» da chiedere all’Unione europea, anche se il Quotidiano del popolo respinge al mittente l’accusa di «amichevole ricatto». Pechino vuole che l’Unione europea riconosca la Cina come economia di mercato – richiesta ricordata dal premier Wen Jiabao all’ultimo forum di Davos – il che garantirebbe alle merci cinesi maggiore accesso al mercato europeo.
Con la Grecia che rischia un default incontrollato che causerebbe fallimenti a catena di banche (elleniche, tedesche, britanniche e francesi anzitutto), è improbabile che l’aiuto di Pechino prenda la forma di acquisti massicci di buoni che potrebbero diventare presto carta straccia. Wang Weihua, del dipartimento affari internazionali della Shanghai International Studies University, ha spiegato a China Daily: «Ritengo che un forte aumento degli investimenti nelle attività  europee da parte dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr) sarebbe più efficace – per aumentare la fiducia e creare posti di lavoro – dell’investimento diretto nei bond».
Già  all’inizio di quest’anno la Cina ha siglato accordi con la Spagna per investirvi 7.3miliardi di dollari in progetti che vanno dal settore energetico a quello bancario al petrolio. Per non parlare della Grecia, dove, appena è esplosa la crisi, la società  Cosco ha rilevato la gestione di alcuni terminal del porto del Pireo.
L’Europa, che ne assorbe circa il 20 per cento delle esportazioni, è uno dei principali partner commerciali della Cina, la quale a sua volta è diventata il mercato più attraente per i beni di lusso francesi, italiani e per le auto di grossa cilindrata tedesche.
«Energia, tecnologia, oppure alcuni marchi famosi o risorse naturali. Se le società  italiane accettano – ha dichiarato ad AgiChina24 He Jun, capo analista della società  Anbound Services, che collabora con il governo di Pechino -, la Cina potrebbe investire in questi settori».
Yao Ling, a ricercatore presso la Chinese Academy of International Trade and Economic Cooperation del ministero del commercio, ha parlato esplicitamente di terreno fertile, pronto a essere sfruttato. Se in passato molti europei vedevano con sospetto gli industriali cinesi, ora – ha concluso Yao – «ci vogliono lì».

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