by Sergio Segio | 27 Settembre 2011 7:22
Non c’è né il benservito al governo né la “scomunica” al premier, tuttavia la Prolusione del cardinal Bagnasco al Consiglio permanente della Cei, aperto ieri a Roma, è severa e inequivocabile: Berlusconi non viene mai nominato, ma è evidente che sia proprio lui il destinatario delle critiche e il soggetto di quei comportamenti che «ammorbano l’aria». Da purificare.
«Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui», dice il presidente dei vescovi italiani. Si moltiplicano «racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica», mentre, sottolinea Bagnasco, «chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della sobrietà , della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda».
Tenta di temperare l’affondo, il presidente dei vescovi, dando anche un colpo alla botte: la stampa non è esente da responsabilità per «la dovizia delle cronache» – eccessivamente morbose, sembra aggiungere fra le righe – e la magistratura esagera per «l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo». Ma ribadisce: «Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pur non mancano. I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà . Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune». La questione morale, aggiunge, «non un è un’invenzione mediatica» e contribuisce «a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente» mentre «dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio». Occorre quindi «purificare l’aria».
Ce n’è anche per il governo. Di fronte ad una crisi economica e sociale «devastante», sembra che non si voglia «riconoscere l’esatta serietà della situazione» e «amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali». Le manovre economiche schizofreniche e antisociali approvate dalla maggioranza a colpi di fiducia non sono chiamate per nome, ma a quelle si riferisce Bagnasco, anche per la sottolineatura del tema dell’evasione fiscale: è «difficile sottrarsi all’impressione che non tutto sia stato messo in campo per rimuovere questo cancro sociale».
Niente di nuovo, queste cose le diciamo da tempo, mette le mani avanti. Ma al di là delle autodifese d’ufficio, è evidente che i toni utilizzati ieri dal presidente dei vescovi siano più incisivi rispetto al consueto equilibrismo della Cei: nelle ultime settimane si erano fatte troppo pressanti, all’interno della stessa Chiesa, le richieste di «nostri pronunciamenti», ammette il presidente dei vescovi, che quindi non poteva continuare a tacere. E in un certo senso, prima di partire per la Germania, aveva ricevuto il via libera dal Papa che, con un telegramma a Napolitano, auspicava un «intenso rinnovamento etico per il bene dell’Italia».
Bagnasco affronta molte altre questioni, a cominciare dalla «presenza dei cattolici nella società civile e nella politica». Le gerarchie ecclesiastiche sono state molto attive sul fronte politico negli ultimi mesi – lo stesso Bagnasco ai primi di settembre ha tenuto la relazione di apertura alla Summer school dei giovani del Pdl organizzata da Gasparri e dal teocon Quagliariello e il 17 ottobre, a Todi, interverrà ad un incontro politico con associazioni sociali cattoliche e movimenti ecclesiali, Bonanni e Comunità sant’Egidio in prima fila – in vista della costituzione di una formazione centrista o, più probabilmente, di una ristrutturazione di un centro-destra senza Berlusconi, modellato sul Partito popolare europeo e saldamente ancorato ai «valori non negoziabili». Il presidente della Cei, sebbene in ecclesialese piuttosto spinto, conferma l’ipotesi: parla di credenti che avvertono la necessità «di rendere politicamente più operante la propria fede» e di una nuova partecipazione che «sta lievitando». Tanto che «sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che, coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita, sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». Non una nuova anacronistica Dc quindi, perché «la transizione dei cattolici verso il nuovo inevitabilmente maturerà all’interno della transizione più generale del Paese, e oserei dire anche dell’Europa». Ma l’auspicio di un Ppe in salsa italiana, con i «valori non negoziabili» di vita, scuola cattolica e famiglia come paletti – che escludono contaminazioni a sinistra – e come orizzonte: nella Prolusione parla, stavolta assai esplicitamente, di valorizzare «il patrimonio della scuola cattolica» e di sostenere « il diritto dei genitori di scegliere l’educazione per i propri figli» e di approvare definitivamente la legge sul cosiddetto testamento biologico, un provvedimento «necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita».
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