Italia, quasi un lavoratore su quattro ha un’occupazione “non standard”

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CASTEL GANDOLFO (RM) – Quasi un lavoratore su 4 (23%) ha una occupazione “non standard”, ovvero non a orario pieno e non a tempo indeterminato: il 12%, pari a 2 milioni e 700mila individui, è a part-time, mentre l’11% è un atipico (tempi determinati e collaboratori). Il lavoro a tempo parziale interessa maggiormente le donne: 1 milione e 800mila. E tra gli atipici l’età  evidenzia una buona quota di giovani (39%), ma – a sorpresa – soprattutto un’elevata percentuale di adulti: il 48% ha tra i 30 e i 49 anni. Sono alcuni dei dati diffusi dalle Acli nella giornata di apertura del 44° Incontro nazionale di studi, contenuti nel rapporto dell’Iref (l’istituto di ricerca delle Acli).
La composizione interna degli occupati presenta divari “non più sostenibili”, secondo le Acli, tra lavoratori più o meno garantiti. “Dopo 15 anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro – commenta l’Iref – sembrano essersi consolidate due generazioni di lavoratori flessibili: giovani in ingresso nel mercato del lavoro, adulti per i quali la fase dell’inserimento lavorativo è terminata ma che si ritrovano nelle stesse condizioni contrattuali di partenza.

A livello europeo, l’Italia fa parte del gruppo di Paesi nei quali i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati. E il dato più preoccupante è quello del Nord-Est, dove dal 2002 al 2007 la disoccupazione di lunga durata è passata dal 17% al 31,4%, tornando poi a scendere di poco nel 2008 (29%). “Parenti stretti dei disoccupati di lungo corso” sono in parte gli inattivi, solitamente definire “scoraggiati”: disponibili a lavorare, dichiarano di non cercare lavoro perché sfiduciati rispetto alla possibilità  di ottenere un impiego. In Europa questo dato continua ad oscillare attorno al 4% (sul totale degli inattivi) e sembra essere in moderata crescita per l’anno 2010 (4,6%); nel nostro paese, tra il 2009 e i 2010, è arrivato al 10%. Gli “scoraggiati” rappresentano quindi 1 milione e mezzo di italiani, soprattutto nelle regioni meridionali.

Inoltre “sottoccupazione e sovraistruzione denotano l’incapacità  di un mercato del lavoro di valorizzare risorse e competenze”, osserva la ricerca. Tra gli immigrati, la percentuale di sottoccupati (che dichiarano di aver lavorato, per motivi indipendenti dalla propria volontà , meno ore di quelle che avrebbero potuto o voluto fare) e sovraistruiti (svolgono un lavoro che richiede un titolo di studio inferiore a quello in loro possesso) è maggiore rispetto agli italiani. La sottoccupazione interessa infatti il 4% dei lavoratori italiani, mentre tra gli stranieri supera il 10%. Se la percentuale di sovraistruzione tra gli italiani è del 19%, fra gli stranieri supera il 42%. “Si è ormai consolidato in Italia un modello di specializzazione dell’occupazione straniera nel segmento basso del mercato del lavoro: gli immigrati svolgono i lavori più disagiati e meno remunerativi, anche se hanno credenziali formative utili a ottenere impieghi migliori”.
Infine, le Acli richiamano i dati della European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Eurofound): tra il 1995 e il 2010 la percentuale di persone molto soddisfatte del proprio lavoro risulta in calo in Italia sia tra gli uomini sia tra le donne; tra le lavoratrici si passa dal 30% al 21%; tra i lavoratori dal 25% al 21%. In particolare, gli operai poco qualificati dichiarano una soddisfazione minore rispetto a quella degli altri lavoratori (13% nel 2010, contro il 34% degli impiegati altamente qualificati): un dato in calo dal 1995 in poi. Oltre 15 anni fa, infatti, un operaio qualificato su 4 (27%) si dichiarava molto soddisfatto del suo lavoro, nel 2010 ne è convinto solo l’11%. (lab)

 

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