Il supercomputer che prevede le rivoluzioni

by Sergio Segio | 12 Settembre 2011 6:57

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WASHINGTON — La formula, detta così, appare semplice: un supercomputer, gli articoli di giornali e televisioni, l’umore dei popoli. Metti insieme i tre fattori e puoi prevedere le rivolte. La tesi è del professor Kalev Leetaru che, insieme a un gruppo di colleghi dell’Università  dell’Illinois (Usa), ha condotto una singolare ricerca. Affidando alla memoria elettronica di «Nautilus» circa 100 milioni di articoli, gli studiosi hanno «provato» come sia possibile individuare il punto di crisi in un Paese. A sostegno della loro tesi hanno portato quanto è avvenuto in Egitto e in Libia, teatro di vere rivoluzioni.
Lo studio ruota attorno a una serie di passi. Il primo è quello della raccolta. I ricercatori hanno pescato circa 100 milioni di «pezzi» tratti da fonti aperte. Centri di documentazione sulla stampa internazionale, archivi di giornali (come il New York Times), la britannica Bbc. All’interno di questa montagna di dati il team dell’Illinois ha focalizzato la sua attenzione su due elementi: lo «stato d’animo» di un Paese e il luogo. Come parametri sono state selezionate delle parole chiave degli articoli che potessero indicare — anche in modo generico — l’opinione dei cittadini. Il professor Leetaru le ha indicate in «terribile, orribile, bello». Tutto è stato poi inserito in «Nautilus», che ha iniziato a dare risposte e grafici.
In base allo studio si può notare come lo stato d’animo degli egiziani e i toni siano precipitati agli inizi del 2011, già  nelle settimane precedenti alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Per l’equipe dell’Illinois osservando l’andamento delle emozioni sarebbe stato relativamente facile prevedere che il regime era giunto al capolinea. Gli spazi di recupero si erano esauriti. I ricercatori hanno avuto altre conferme dal paragone fatto con quanto avvenuto durante il primo conflitto nel Golfo (1991) e l’invasione dell’Iraq (2003).
Dunque analizzando quello che esprimeva la gente nella piazza Tahrir del Cairo o a Bengasi — insiste il professor Leetaru — le diplomazie dovevano comprendere che le crisi si sarebbero chiuse in modo traumatico. Nessuno era più disposto a tornare indietro, nulla poteva essere come prima. L’unica via d’uscita era la deposizione — con le buone o le cattive — del tiranno. E allora il presidente Barack Obama, al pari di altri governi occidentali, avrebbe potuto evitare di puntellare un potere ormai esaurito. Salvo poi tornare sui propri passi sostenendo il cambiamento innescato dalla «primavera araba».
Diverso, secondo la ricerca, il quadro delineatosi in Arabia Saudita. La monarchia del Golfo è stata scossa da forti agitazioni sociali così come è avvenuto nel vicino Bahrein. Ma i grafici elaborati segnalano sbalzi significativi (in negativo) nell’umore dei sauditi, ma non così profondi da scatenare una reazione a catena nel regno.
Forti di queste conclusioni i gestori di «Nautilus» ritengono che la macchina unita all’analisi dei sentimenti può dare una mano a servizi segreti e governi. Anzi, Leetaru, portando acqua al suo mulino, sostiene che le capacità  del supercomputer, se rifornito di informazioni accurate, superino quelle degli 007 o degli analisti. Il prossimo passo dell’Università  sarà  quello di elaborare parametri ancora più sicuri per «prevedere il futuro politico o gli sviluppi» di una crisi regionale.
Sempre nello studio, Leetaru ha affrontato un dossier che fino al maggio di quest’anno era piuttosto complicato. Il possibile nascondiglio di Osama bin Laden. La squadra di ricercatori, in questo caso, ha lasciato da parte gli «stati d’animo» e ha diretto la sua attenzione sulle segnalazioni. A partire dal 2001 tonnellate di articoli e dichiarazioni raccolte dai media hanno sostenuto che il capo di Al Qaeda era nascosto in Pakistan. Ma solo una «citazione» lo collocava nella zona di Abbottabad. Eppure, afferma Leetaru, sempre usando i dati a disposizione, «Nautilus» ha ristretto l’area di ricerca in un’area con un raggio di 200 chilometri. In precedenza anche l’Università  Ucla si era cimentata nella ricerca geografica e aveva indicato una distanza di circa 300 chilometri a partire dall’ultimo avvistamento, quello di Tora Bora. Suggerimenti ritenuti vaghi da molti esperti.

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