Il premier «stremato» ma non cede: ho fatto cose che farebbero tutti

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ROMA — Chi gli ha parlato racconta di un Silvio Berlusconi che alterna rabbia a rivendicazioni, angoscia e relativo ottimismo. Perché è vero, secondo il premier, che la valanga di intercettazioni uscite fanno male «a me come al Paese», che non sono affatto innocue nonostante gli omissis, che sono difficili da spiegare a chi gli è vicino, ai figli in primo luogo, che sicuramente soffrono la situazione quanto lui. Ma è altrettanto vero, si difende il premier, che emerge chiaro dalle carte come «io non ho commesso nessun reato», ma solo realizzato quello che, è convinto, tutti gli italiani desiderano: avere relazioni con donne giovani e belle. Insomma, è il suo strenuo contrattacco, a chi non piacerebbe «una come la Arcuri» e dunque che male c’è a cercare di incontrarla?
La speranza del premier è allora che queste sue passioni (per le quali si è guardato bene dal fare mea culpa) vengano comprese e accettate dal suo elettorato, e nel tempo siano assorbite perché «è talmente chiaro che l’unica cosa vergognosa in questa vicenda è il modo in cui i magistrati mi stanno perseguitando, intercettando ogni mio sospiro». E in fondo in fondo il Cavaliere — pur «stremato, provato, deluso» come lo descrivono — crede davvero che il suo governo possa reggere, perché «io ho la maggioranza, e sia chiaro che non ho alcuna intenzione di dimettermi». Di più: spera che l’esecutivo possa rilanciarsi e «lo faremo già  dalla prossima settimana con il decreto sviluppo», e battersi per vincere alle prossime elezioni: in fondo dall’altra parte c’è «quel signore con l’orecchino, quell’altro di Piacenza…», Vendola e Bersani insomma, che «dove vanno?». Tanto più se Bossi, come il premier confida, terrà  fede al patto di ferro e manterrà  in piedi l’alleanza.
A far da contraltare a questo vago ottimismo c’è però la grandissima preoccupazione di tutto il suo entourage e dei big della coalizione. «Diciamo la verità , il governo è arrivato ai suoi ultimi 100 metri…», prevede amaro un ministro di peso, mentre i fedelissimi del premier vivono con il fiato sospeso in attesa di possibili «nuove intercettazioni, perché chi ci dice che finirà  qui? Chissà  cosa altro potrà  uscire». E sul fronte giustizia, tra processi aperti (quello Mills, quello Ruby che sta per riprendere) inchieste in corso, possibili nuovi capitoli che potrebbero aggiungersi, si annuncia una navigazione sempre e comunque perigliosa, anche se si riuscisse davvero — come pretende il Cavaliere — ad approvare la legge sulle intercettazioni «entro la fine di ottobre».
Poi certo, una «buona notizia» c’è, come dicono un po’ tutti nel Pdl: Casini sembra sempre più lontano dal centrosinistra, e lo sanno bene ministri che si incaricano da tempo di tenere rapporti con i centristi come Fitto. Ma se questo è un terreno che potrebbe diventare fertile in futuro, per l’oggi ci sono solo trappole da schivare. Come quella del voto su Milanese, giovedì. In caso di «incidente» — ovvero di un sì all’arresto, magari dietro la copertura del voto segreto — molti temono che potrebbe innescarsi una reazione a catena tale da trascinare giù tutto il governo. E questo non tanto perché porterebbe a dimissioni che Giulio Tremonti — con chi gli parla — esclude decisamente, ma perché «sarebbe il segnale — dice un fedelissimo del Cavaliere — che o un pezzo del Pdl o della Lega ha deciso di mollare».
In questo clima di sospetti e paure si capisce allora come ormai tutti o quasi nella maggioranza vedano avvicinarsi la fine anticipata della legislatura. Si dice che il governo arriverà  al 2013, ma non sembra crederci nessuno perché «così, avanti non ci andiamo» e per ragioni anche molto concrete: la Lega, dicono, staccherà  la spina prima dell’eventuale referendum per il ritorno al Mattarellum che la vede contrarissima, e anche la possibilità  di evitare riforme come il taglio del numero dei parlamentari o quello delle Province fa gola a tanti, a troppi in Parlamento.


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