Il piano di Obama sul lavoro apre lo spiraglio bipartisan

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E anche un altro mezzo miracolo: nonostante il tono ultimativo — il «pass the bill», approvate questa legge, ripetuto ossessivamente, per quindici volte e la minaccia di andare a denunciare l’eventuale ostruzionismo repubblicano in tutte le piazze d’America — per ora i conservatori non hanno chiuso la porta in faccia al presidente, come molti temevano. Da Rick Perry a Michele Bachmann, i candidati alla «nomination» alla Casa Bianca lo hanno attaccato, ma il capo della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner, ha detto di apprezzare alcune delle proposte e ha promesso un dialogo costruttivo mentre il suo vice, l’arcigno Eric Cantor (l’«anti Obama» che in passato ha spezzato molti tentativi di dialogo «bipartisan»), stavolta ha scelto un approccio più cauto: «Molte delle sue idee coincidono con le nostre. Certo, se va avanti con la logica degli ultimatum, del prendere o lasciare, non farà  molta strada».
Una prudenza suggerita dal fatto che Obama la sua minaccia di andare in tutte le piazze (sottinteso repubblicane) a spiegare il suo piano l’ha concretizzata già  ieri presentandosi a Richmond, in Virginia, proprio nel collegio elettorale di Cantor, per spiegare alla gente in che modo il suo piano consentirà  di evitare un bel po’ di licenziamenti nel pubblico impiego e, magari, anche di riaprire il rubinetto delle assunzioni.
Su quest’ultimo punto, comunque, il condizionale è d’obbligo. Una ripresa consistente del mercato del lavoro sarebbe, infatti, il terzo e il vero miracolo: quello, purtroppo, più lontano dal materializzarsi, anche se Obama promette di mettere in campo molti strumenti, dagli sgravi a chi assume a una sorta di nuova banca per le infrastrutture. E se afferma che cercherà  di aggredire anche la crisi immobiliare che continua a drenare la ricchezza delle famiglie, dando un po’ di sollievo a chi è in difficoltà  col mutuo.
Gli economisti sono concordi nel ritenere che, anche se avrà  successo, la manovra suggerita da Obama potrà  ridurre solo in misura marginale l’esercito dei disoccupati. Ma i più concordano nel riconoscere che, nelle attuali condizioni economiche e di bilancio, il governo federale non poteva fare molto di più. E sottolineano che, comunque, la manovra va nella giusta direzione. A sorpresa anche Paul Krugman, alfiere della sinistra «liberal» e critico implacabile di Obama fin dall’inizio del suo mandato, stavolta lo promuove riconoscendo che ha fatto il massimo che gli era consentito.
447 miliardi, dice, sono poca cosa rispetto ai problemi nell’economia americana e anche la scelta di dare più spazio ai tagli delle tasse (240 miliardi) che ai sostegni diretti all’economia (200 miliardi) piace poco a Krugman. Ma per il premio Nobel la buona notizia è che Obama per la prima volta ha agito con audacia, mettendo sul tavolo più risorse del previsto e ponendo la creazione di posti di lavoro al centro del dibattito politico.
Che questo, poi, serva davvero a risollevare l’economia Usa o solo a dare slancio alla campagna elettorale del presidente, resta tutto da vedere. Sono in molti a sostenere che, cercando di salvare il posto di lavoro degli americani, Obama cerca innanzitutto di preservare il suo. Una scelta prevedibile e a suo modo legittima, ma la cautela della reazione repubblicana indica anche che la condizione economica del Paese è ormai talmente deteriorata da rendere auspicabile per tutti un messaggio di speranza, l’esibizione di un gancio concreto a cui attaccare la fiducia che è rimasta.
E questo messaggio non poteva che venire dal presidente. Che ieri si è definito un «inguaribile ottimista». E che, oltre a preparare la sua rielezione, l’altra sera ha anche impostato un’operazione politica coraggiosa — che di elettorale ha ben poco — quando ha spiegato che le spese per sostenere l’occupazione andranno tutte coperte con nuove entrate o tagli della spesa pubblica ancora più vasti di quelli già  previsti (e sui quali sta lavorando la Supercommissione «bipartisan» del Congresso). Soprattutto, Obama ha avvertito i democratici che non sarà  più possibile difendere pensioni e sanità  pubbliche nel loro assetto attuale. I repubblicani dovranno concedere l’aumento del prelievo fiscale sui ricchi, ma la sinistra dovrà  accettare l’idea che, pur senza stravolgere l’assistenza, i tagli dovranno raggiungere anche Medicaid e Medicare, la sanità  pubblica per poveri e anziani.


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