by Sergio Segio | 23 Settembre 2011 6:40
Dal 2001 al 2010, mentre il Pil procapite degli italiani precipitava in termini reali del 5%, la «dotazione» annuale di pubblico denaro della Camera aumentava, sempre in valore reale, del 31,5%, passando da 754,9 a 992,8 milioni. Mentre quella del Senato schizzava all’insù addirittura del 53,3%, crescendo dall’equivalente di 343,8 milioni attuali a 527. Impennate mostruose. E parliamo della «dotazione», cioè della somma che Montecitorio e Palazzo Madama chiedono ogni anno al Tesoro per il proprio funzionamento. Ma le «spese correnti», quelle che mostrano il «tenore di vita», quelle che possono portare al disastro una famiglia o una azienda, sono cresciute ancora di più. Alla Camera da poco meno di 750 a un miliardo e 59 milioni di euro, con un aumento del 41,28%. Al Senato da 349 a 574 milioni, con un balzo assolutamente stratosferico del 65%.
Tutti numeri davanti ai quali suona stupefacente quanto è arrivato a scrivere Marcello Pera, che dopo avere presieduto Palazzo Madama nei cinque anni in cui le spese correnti salirono del 38,8%, denuncia oggi «la più becera campagna di aggressione al Parlamento che si sia vista dall’epoca dell’Uomo Qualunque, precisamente quella che, pur di abbattere il governo Berlusconi, non esita ad abbattere la democrazia». Cosa c’entra la democrazia? Ce n’era forse di meno dieci anni fa quando le Camere, in un’Italia meno ammaccata, costavano insieme oltre mezzo miliardo di meno? Ce n’era di meno trent’anni fa, quando la Camera presieduta da Nilde Jotti e il Senato da Francesco Cossiga costavano poco più di un quarto rispetto ad oggi, al netto dell’inflazione?
In questi anni, dicono i bilanci, sono stati fatti tagli durissimi. Del 50,5% nell’ultimo decennio (salvo un reintegro mesi fa del Fondo unico per lo spettacolo dovuto alla cocciutaggine di Giancarlo Galan) sono stati tagliati i beni culturali. Del 91% dal 2009 al 2012 il Fondo nazionale per le politiche sociali. Del 74% dal 2010 al 2011 il Fondo contributi affitti alle famiglie povere. Quanto hanno tagliato, parallelamente, le Camere? Quest’anno, mentre veniva deciso di rimandare di due anni il pagamento delle liquidazioni ai dipendenti pubblici, Montecitorio ha approvato il bilancio dando alle spese correnti una limatina dello 0,71%. Palazzo Madama dello 0,34%.
Nello stesso tempo, a dispetto delle vacche magre, il Parlamento vedeva crescere ulteriormente i propri «tesoretti». Che sono due. Il primo si chiama «Fondo di solidarietà » e, come hanno spiegato i questori della Camera in una lettera ai Radicali, che l’hanno pubblicata sulla pagina «Parlamento Wikileaks» del loro sito, «persegue il principale scopo di provvedere all’erogazione dell’assegno di fine mandato ai deputati». Insomma, le liquidazioni. Sulle quali gli onorevoli non vogliono proprio correre alcun rischio: basterebbero 40 milioni, a coprire le «buonuscite». Ne hanno accantonati 218. Tutti soldi messi a frutto in «Pronti contro termine», in Bot, in gestioni patrimoniali. Oppure semplicemente depositati in banca: al 31 dicembre del 2010 le «giacenze liquide in c/c bancario», come ci informa il bilancio, ammontavano a 129 milioni 586.500 euro e 67 centesimi.
Come si è formato tutto questo grasso? Il «Fondo di solidarietà », che esiste solo a Montecitorio e non a Palazzo Madama (prova provata che non è affatto indispensabile) fu creato nel 1994 ed è alimentato con trattenute alle indennità degli onorevoli. Direte: ma se è loro perché dovrebbero privarsene? Si potrebbe rispondere: perché siamo in crisi, quei soldi loro li tengono in banca e finora la politica non ha tirato minimamente la cinghia. E tanto basterebbe. A maggior ragione perché l’indennità viene pagata con denari pubblici. Ma non è tutto: il Fondo ha raggiunto le abnormi proporzioni attuali grazie ai cospicui contributi versati negli anni passati non personalmente dagli onorevoli, ma dalla Camera. Nel periodo compreso fra il 1995 e il 2000, ad esempio, l’amministrazione di Montecitorio ha pompato nel Fondo destinato alle liquidazioni dei parlamentari più di 175 miliardi di vecchie lire, equivalenti a 118 milioni e mezzo di euro attuali. Un capitale moltiplicatosi a dismisura in tre lustri di investimenti finanziari, e che oggi, nonostante i tassi sottoterra, cresce al ritmo di almeno tre milioni l’anno. E meno male che i Questori, come hanno scritto loro stessi ai Radicali, «anche in seguito a consulenza gratuita fornita dalla Banca d’Italia» hanno deciso di «investire tali disponibilità , ammontanti a circa 180 milioni mediante costituzione di un portafoglio di titoli di Stato italiani». Come dire: abbiamo rinunciato a comprare i più sicuri Bund tedeschi. Grazie.
Poi c’è il secondo «tesoretto». Il «Fondo cassa iniziale». Costituito dalla somma di tutti gli avanzi di bilancio realizzati negli anni. Spieghiamo: i preventivi di Camera e Senato sono sempre un po’ «gonfiati», nel senso che quando il 31 dicembre vengono tirate le somme si scopre che il denaro a disposizione non è stato speso proprio tutto. Resta sempre qualcosina in banca. E anno dopo anno la somma è diventata enorme: 169.950.583 euro e 60 cent per Palazzo Madama e 369.080.255 euro e 60 cent per Montecitorio. Totale al primo gennaio del 2011: 539 milioni e passa. Che aggiunti a quelli del «Fondo di solidarietà » della Camera fanno appunto 719 milioni di euro. Vale a dire che, se è vero che l’Italia è in crisi al punto che viene invocata la vendita dei gioielli di famiglia (cosa spesso già avvenuta, vedi ad esempio la vendita a Verona perfino del Palazzo Pompei e del Palazzo Gobetti sedi del Museo di storia naturale e di Palazzo Forti dov’è la Galleria d’arte moderna) le Camere avrebbero potuto rimettere almeno una parte di quei soldi nelle pubbliche casse. Dando un esempio di generosità che non hanno dato.
Vogliamo dirla tutta? Almeno al «Fondo di solidarietà degli onorevoli deputati» dovrebbero essere applicate le regole in vigore per tutte le aziende con più di 50 dipendenti. Per le quali la legge stabilisce che il Tfr dei dipendenti (le liquidazioni) non investito in fondi pensione sia obbligatoriamente trasferito all’Inps. E dall’istituto di previdenza alla tesoreria. Sempre che, si capisce, la legge valga anche per loro…
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