IL PAREGGIO DI BILANCIO NELLA COSTITUZIONE

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La Consulta, nell’interpretazione di questa norma, pur negando che essa costituzionalizzi il principio del pareggio di bilancio, ha ripetutamente sottolineato che la norma in questione esprime il principio del tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci dello Stato, tanto su base annuale quanto su base pluriennale. Il che significa che, mentre l’obbligo di “copertura” va osservato nei confronti delle spese che incidono sopra un esercizio in corso, lo stesso rigore non sarebbe richiesto – per la Corte – per gli esercizi futuri.
Di qui la rilevanza del suggerimento della Bce, rivolto ai paesi dell’Unione europea, di inserire nelle rispettive Costituzioni il principio del pareggio di bilancio: suggerimento che il Governo Berlusconi ha fatto proprio nella riunione dell’8 settembre mediante l’approvazione di uno schema di disegno di legge costituzionale nel quale, pur proclamandosi che «il bilancio rispetta l’equilibrio delle entrate e delle spese», giustamente si prevedono delle deroghe – sulla falsariga del progetto approvato dalla Commissione D’Alema (art. 103) e del progetto di revisione costituzionale approvato in Spagna da Camera e Senato lo stesso giorno – nelle «fasi avverse del ciclo economico» ovvero ricorrendo «uno stato di necessità » non sostenibile «con le ordinarie decisioni di bilancio». Stato di necessità  che deve essere «dichiarato dalle Camere in ragione di eventi eccezionali, con voto espresso a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti».
Ma se il principio del pareggio di bilancio non può non implicare deroghe in considerazione di eventi eccezionali e se esso si esprime, nello schema di disegno di legge costituzionale, con le semplici parole che «il bilancio rispetta l’equilibrio delle entrate e delle spese», vien fatto di chiedersi se tale principio non sia già  di per sé desumibile dall’attuale art. 81, senza alcuna forzatura lessicale ma con un’interpretazione adeguata alla gravità  dell’attuale situazione finanziaria. D’altra parte, se è vero che le scelte di bilancio sono decisioni fondamentali di politica economica che, in ragione di tale loro natura sono costituzionalmente riservate alla determinazione del Governo e all’approvazione del Parlamento, è altrettanto vero che esse sono pur sempre scelte “discrezionali” e non “libere nel fine” (il che contrasterebbe con il secondo comma dell’art. 1 della Costituzione). E quindi tali scelte, proprio perché discrezionali, non dovrebbero considerarsi sottratte in linea di principio al sindacato di ragionevolezza e di proporzionalità  spettante al giudice delle leggi.
Il che sarebbe di grandissima importanza sotto un altro aspetto, in un mondo che ormai vive, nel bene e nel male, sulla “comunicazione”. Se infatti una siffatta “svolta” giurisprudenziale venisse in un qualche modo autorevolmente anticipata nei mass media (si pensi alle interviste, in tal senso, del Presidente della Corte costituzionale Francesco Saja, alla fine degli anni ‘80), essa comunque costituirebbe, per i mercati finanziari e per le autorità  europee, un segnale ben più forte e determinato dell’annuncio di una qualsivoglia futura modifica costituzionale, che in ogni caso non potrebbe essere definitivamente approvata che tra svariati mesi, e sempre che le Camere non vengano sciolte prima.
Ciò tuttavia non significa che la modifica costituzionale dell’art. 81 non sia opportuna, anche se andrebbero comunque meditate le perplessità  sollevate in sede Astrid (si allude al pareggio del bilancio di competenza, di cassa o di competenza economica? al pareggio del bilancio preventivo o del bilancio consuntivo?). E l’opportunità  deriva da ciò, che nel proclamare il principio del pareggio, il nuovo art. 81 ne circoscriverebbe le possibili deroghe.
Ma c’è di più: la modifica costituzionale sarebbe necessaria sotto un altro ben preciso aspetto. È infatti di tutta evidenza che se nel “nuovo” art. 81 non viene introdotta alcuna specificazione con riferimento alla giustiziabilità  costituzionale delle leggi che violano il dovere di pareggio, alla Corte costituzionale le relative questioni di costituzionalità  verrebbero anche in futuro sottoposte dalla Corte dei conti con grande ritardo in sede di controllo di provvedimenti di spesa attuativi di leggi contrastanti con l’art. 81 Cost. o in sede di giudizio di parificazione del bilancio. Di qui il suggerimento, già  presente in dottrina, di riconoscere in Costituzione alla Corte dei conti il potere di sollevare in via diretta, davanti alla Consulta, le questioni di legittimità  costituzionale in materia di spesa pubblica.


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