IL «NUOVO» CAPITALISMO CHE CI ATTENDE

by Sergio Segio | 29 Settembre 2011 6:13

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Si legge che il valore del Pil mondiale corrisponde solo ad un ottavo, circa, del valore dei derivati finanziari in circolazione (economia di carta contro economia reale), senza percepire che lo stesso concetto di produzione capitalistica sballa. Si legge che la Cina possiede una parte enorme del debito Usa e anche di altri paesi e non ci si domanda come mai non dedichi più risorse allo sviluppo del suo enorme paese che ha ancora grandi sacche di miseria. Insomma nessuno si fa le domande che paiono sensate. Mi pare che ci troviamo, non solo in Italia ma soprattutto in Italia, di fronte ad un bivio: da una parte una grande autostrada che riporta indietro, dall’altra parte un viottolo stretto e accidentato che, tuttavia, porta più avanti.
Non si vuole riflettere sul fatto che la dimensione della finanziarizzazione ha modificato la natura del capitalismo, quello al quale lo stesso Marx riconosceva dei meriti di progresso. Per sintetizzare: il processo capitalistico è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella, postmoderna, denaro-denaro-denaro (D-D-D). un mutamento che investe pesantemente non solo la produzione e la distribuzione della ricchezza, ma fondamentalmente il processo politico e la stessa, tanto o poca che sia, democrazia. È vero, infatti, che D-M-D aveva insito lo sfruttamento del lavoro, ma insieme costituiva un processo all’interno del quale si creava, dentro il suo stesso corpo, la forza antagonistica che imponeva una diversa distribuzione della ricchezza prodotta, l’affermarsi di diritti di cittadinanza, la speranza di una società  diversa. Il capitale, in questa eccezione, è costitutivo di una certa società  ed esso stesso rapporto sociale.
Al contrario, quando prevale il meccanismo D-D-D, si scioglie il rapporto tra capitale e società , tale meccanismo taglia fuori ogni antagonismo specifico; si tratta infatti di un meccanismo che non può essere intaccato da chi subisce gli effetti negativi di tali processi. I popoli subiscono, e non sanno né possono individuare una controparte diretta sul piano sociale ed economico. Tutto si sposta sul piano politico, ma gli stessi referenti politici, apparentemente antagonisti tra di loro ma vittime di una cultura omogenea, non riescono a trovare il bandolo della matassa. La speculazione finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, crea le occasioni per speculare. Contrastare la speculazione significa solo offrirgli sempre più vitelli da azzannare.
Se si imbocca l’autostrada che il bivio ci offre siamo perduti. Il dominio della ricchezza sarà  senza limiti (anche se fragile), la lingua maestra sarà  quella dell’economia di chi possiede; una casta potente e intoccabile, anche sul piano fiscale, banchetterà  su un popolo miserabile. I diritti di cittadinanza un lusso impossibile. Mentre l’antagonista diretto sarà  impalpabile, irraggiungibile e deteritorializzato. I peggiori scenari della pessimistica fantascienza sociale si avverranno. Scoppi di rabbia, rivolte, sangue, lotte tra i poveri, regimi di polizia, ma niente rivoluzione e niente riforme progressiste. Tutte conseguenze dirette di un cambiamento nella natura del capitale.
Il viottolo stretto e accidentato ci parla la lingua della politica. Ci dice, prima di tutto, che la speculazione finanziaria va combattuta alla pari, ma meglio, del traffico di droga, questo ammazza i figli quella opprime i popoli. Speculare non deve essere permesso; c’è un mondo di cose e di servizi da fare, non permettiamo che la costruzione di una economia di carta ci tolga il sangue e la volontà . C’è un sistema produttivo da ristrutturare a salvaguardia della salute, dell’ambiente e per la produzione delle cose di cui abbiamo bisogno. C’è una distribuzione equa della ricchezza prodotta da imporre. C’è una dilatazione dei diritti di cittadinanza da ampliare. C’è una piramide sociale da appiattire. C’è da castigare gli speculatori e non da alimentarli. Se niente può essere come prima lo sia davvero, le forze a livello nazionale e internazionale ci sono, anche se disarticolate, ma unirle si può. È ormai chiaro che questo tipo di organizzazione sociale ha fatto il suo tempo.

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