Il crollo di Borsa brucia il tesoro dei manager

by Sergio Segio | 3 Settembre 2011 6:16

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MILANO – L’Orso è uguale per tutti e – almeno a Piazza Affari – anche i ricchi piangono. Il crollo di Borsa degli ultimi mesi non ha guardato in faccia nessuno. Ha prosciugato i risparmi (a volte quelli di una vita) di tanti piccoli investitori. Ma ha dato un bel colpo di forbice anche ai piccoli tesoretti in azioni o in stock- option accumulati in anni e anni di duro lavoro dai supermanager di casa nostra. Bruciando in poco tempo qualche centinaio di milioni dai loro patrimoni.
La dieta più drastica è quella toccata al portafoglio di Sergio Marchionne. Il numero uno della Fiat, intendiamoci, non rischia di rimanere sul lastrico: nel 2010 si è messo in tasca uno stipendio mensile di 289mila euro lordi. Una cifra che grazie alle aliquote fiscali da prefisso telefonico del suo paese di residenza (Zug, in Svizzera) gli arriva in tasca quasi per intero. In Borsa però il manager italo-canadese ha incassato una scoppola memorabile: fino a pochi mesi fa il suo pacchetto di azioni del Lingotto e di stock option (calcolando solo le plusvalenze) era arrivato a valere fino a 182 milioni. Una fortuna superiore al valore di ben 149 società  quotate. Poi sono arrivati l’attacco all’euro e la bufera sui debiti sovrani. E oggi il manager in pullover si deve accontentare, si fa per dire, di un guadagno complessivo di 32 milioni, 149 in meno del periodo d’oro.
Un bella sforbiciata ha ridimensionato pure il conto corrente di Andrea Guerra, l’amministratore delegato di Luxottica. Il titolo di Agordo, per la verità , è stato uno di quelli che ha resistito meglio alla tempesta di Piazza Affari. Ma la struttura dei compensi dell’ad è basata in buona parte su incentivi azionari. E così alla fine pure il suo portafoglio è finito in cura dimagrante, perdendo per strada ben 9 milioni di valore.
Il piatto piange anche per i banchieri di casa nostra che hanno ormai fatto il callo all’austerity azionaria visto che da cinque anni vivono in Borsa un periodo di vacche magrissime. Gli ultimi 24 mesi, però, sono stati l’ennesima Caporetto. Renato Pagliaro e Alberto Nagel hanno visto andare in fumo 7 milioni a testa sul loro pacchetto di azioni Mediobanca. E le stock option che hanno in portafoglio (qualche centinaio di migliaia di diritti che fino a qualche annetto fa valevano 3 milioni di euro) oggi sono diventati carta straccia visto che il prezzo d’esercizio è il doppio di quello sul listino.
Una decina di milioni li ha persi per strada dal 2010 ad oggi pure Corrado Passera. Lui, come i due top manager di Piazzetta Cuccia, ha reinvestito in titoli Intesa Sanpaolo buona parte delle plusvalenze guadagnate negli anni d’oro grazie ai suoi ricchi pacchetti di opzioni. Una scelta generosa ma – con il senno di poi – controproducente: dal 2007 le azioni della banca hanno lasciato sul terreno l’81% e il portafoglio dell’ad di Ca de’ Sass è dimagrito in proporzione.
Stessa sorte, più o meno, potrebbe essere toccata all’altro ex-enfant prodige del credito nazionale, Alessandro Profumo. Quando ha lasciato Unicredit controllava un pacchetto di 3,8 milioni di titoli di Piazza Cordusio, arrivato a valere fino a 25 milioni. Oggi, se non è stato venduto, è sceso a poco meno di 4.
Quattro milioni (una cifra pari più o meno al suo stipendio annuo) li ha persi in Borsa pure Fedele Confalonieri, vittima dell’anno nero a Piazza Affari di Mediaset che da febbraio ad oggi ha bruciato in Borsa quasi metà  della sua capitalizzazione. Uno scivolone costato un paio di milioni pure a Marina Berlusconi che però – grazie al fieno in cascina messo via negli anni migliori delle tv – ha 98 milioni di liquidità  custoditi nella sua cassaforte personale. Lì, per sua fortuna, l’Orso non riuscirà  mai ad arrivare.

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