Il cauto sollievo del Quirinale

by Sergio Segio | 7 Settembre 2011 6:50

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ROMA — Giudizi di merito non ne esprimono, anche perché la bozza della manovra bis (scritta e riscritta quattro volte in un mese) è arrivata agli uffici tecnici del Quirinale solo a notte fonda. Ma dietro la «presa d’atto» che i consiglieri di Giorgio Napolitano fanno trapelare, si percepisce un certo sollievo. Perché l’invito del presidente è stato raccolto, almeno quanto a garanzia di numeri più sicuri.
Aveva chiesto di correggere subito — «si è ancora in tempo» — il provvedimento con «misure capaci di rafforzare l’efficacia e la credibilità » del decreto messo in cantiere il 13 agosto. E si era appellato a tutte le parti politiche «perché sforzi rivolti a questo fine non vengano bloccati da incomprensioni e da pregiudiziali insostenibili».
Sul primo punto, adesso i saldi richiesti dall’Unione Europea dovrebbero essere grosso modo assicurati. Sul secondo, la partita non è più nelle sue mani e la scelta di Palazzo Chigi di porre la fiducia è questione che rientra nelle responsabilità  del governo. E, come gli ha spiegato ieri al telefono Gianni Letta, si è «resa necessaria per rispettare i tempi stringenti richiesti dalla crisi e per evitare fratture nella stessa maggioranza».
Data la situazione generale, il capo dello Stato di più non poteva sperare. E chissà  se basterà . Il suo intervento dell’altra sera, un segnale d’allarme irrituale (o «bizzarro», come ha recriminato con toni malmostosi il deputato della Lega Giovanni Fava), era maturato al termine di una giornata infernale per l’Italia.
Con tre pessime notizie, registrate con grande ansia al Quirinale: 1) a parte le brutte performance della Borsa, pesava il fatidico spread, cioè l’impennata del differenziale tra i titoli del nostro debito pubblico e quelli della Germania; 2) c’era poi il minaccioso annuncio delle agenzie di rating, che ci avevano messo sotto osservazione e si dichiaravano pronte a declassarci; 3) la cancelliera tedesca Angela Merkel ci paragonava ormai alla Grecia, che da più di un anno sta tenendo sotto stress il mondo intero.
Ecco come, al termine di molti contatti telefonici ad alto livello, il presidente della Repubblica ha deciso di incalzare il governo. Ancora una volta. Parlando spietatamente quel «linguaggio della verità » da lui stesso sollecitato a Rimini e a Cernobbio.
Dopo i tanti e univoci segnali di «persistente difficoltà  a recuperare fiducia», bisognava uscire da balbettii e divisioni. Altrimenti avremmo vanificato la provvidenziale (ma provvisoria) apertura di credito che ci è stata concessa dalla Banca centrale europea. Bce che proprio domani si riunirà  per esaminare «il problema italiano» e, in sostanza, decidere se continuare a comprare i nostri Btp. E guardacaso, Jean-Claude Trichet e il suo prossimo successore Mario Draghi avevano a loro volta avvertito che non era affatto scontato che la Banca si dissanguasse per salvarci.
Insomma: se da Bruxelles e Francoforte suona la campana del time over, non è serio credere sia possibile di cavarcela con una politica di annunci che, dopo la contrattazione infinita vista in queste settimane, rischiano di materializzarsi in una manovra confusa e debole rispetto ai vincoli assunti. È un fatto di credibilità  e affidamento reciproco, tra noi e i nostri partner in Europa.
Questo pensava, e pensa, Napolitano. Lo stallo va superato senza ambiguità  e incertezze. Magari attraverso una larga assunzione di responsabilità  in grado di coinvolgere pure le opposizioni, secondo speranze ormai forse troppo difficili da realizzare. Da oggi la manovra sarà  all’attenzione degli uffici giuridici del Quirinale. Scontato che non tutto piacerà  al capo dello Stato, perché non tutto è coerente con le sue richieste di provvedimenti equi. Ma questo passa il convento, oggi.

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