Il Carroccio e l’ombra dello scambio sul voto

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MILANO — Collegialità  per la conduzione dell’Economia? Per la Lega meglio, molto meglio «spacchettare». Era fatale che il momento complicato che sta attraversando Giulio Tremonti riportasse alla ribalta la vecchia idea di Roberto Maroni: tornare a dividere quello che per lunghi anni era stato diviso. Separare, cioè, la gestione delle entrate, le Finanze, da quella delle uscite, il Tesoro. E magari, come dice un deputato lombardo, «riallocare opportunamente anche il controllo di gestione in capo al Bilancio, le società  pubbliche controllate, le agenzie delle Entrate, del Territorio e del Demanio, la Guardia di finanza…».

L’idea nel Carroccio circolava da mesi, sostenuta con calore da tutti i non rari leghisti che per Tremonti non hanno mai fatto una malattia, sindaci e amministratori locali in testa. Ora, sospinta dal vento antitremontiano che soffia furiosamente, la proposta torna alla ribalta.

Tra l’altro, si fa osservare nel movimento, «i mercati hanno ormai apertamente preso di mira il debito italiano, smentendo la teoria secondo cui l’autorevolezza del superministro sarebbe stata il bastione che avrebbe dissuaso dall’attaccarci». Ma c’è anche chi la vede diversamente: «È vero che Tremonti oggi non sembra nella condizione di rassicurare i mercati, ma una sua uscita di scena sarebbe comunque uno schianto. Che rischieremmo di pagare moneta sonante: fior di milioni per l’impennarsi degli interessi sui Bot. Lo spread oggi è uno dei più forti alleati di Tremonti».

Qualcuno sostiene che il Carroccio potrebbe chiedere lo spacchettamento in cambio del voto contrario alla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni contro il ministro all’Agricoltura Saverio Romano. Altri, un po’ a sorpresa, parlano di una richiesta che la Lega potrebbe presentare «per dare una mano a Berlusconi. Aiutarlo a giustificare la decisione». Eppure, riguardo alla discussione sulla sfiducia, prevista in aula per mercoledì prossimo, ieri Maroni non sembrava la voce di un movimento che pone condizioni. Anzi, ha liquidato rapidamente la questione: «È una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione nei confronti di un ministro della Repubblica. Ne sono già  state presentate in passato e sono state sempre respinte. Non vedo francamente perché non si debba fare la stessa cosa». E pazienza se questa, che è la linea ufficiale del Carroccio, vale al movimento gli attacchi quotidiani di Antonio Di Pietro («La Lega ha ormai tradito tutti i propri antichi ideali, in cambio delle lenticchie di Arcore») e del vicepresidente fli Italo Bocchino («Da partito del Nord e della legalità  diventa partito della difesa dei peggiori mali del Sud»). Accuse insidiose, in un momento in cui i militanti della Lega appaiono piuttosto critici nei confronti delle scelte recenti del movimento.

In ogni caso, la strada per lo spacchettamento dell’Economia sembra piuttosto impervia, anche se potrebbe essere il grimaldello cercato anche da Silvio Berlusconi per spingere il ministro al passo indietro.

Anche perché gli ostacoli incominciano già  all’interno della Lega. In primo luogo, bisogna capire che cosa pensi dell’ipotesi Umberto Bossi.

L’antica amicizia con il ministro valtellinese non sembra essere stata scalfita dai fatti recenti. Il leader leghista anche in questi giorni non ha smesso per un solo istante di sostenere l’«amico Giulio»: «Una brava persona» che in relazione all’inchiesta su Milanese «non rischia nulla». E poi, c’è Roberto Calderoli, a sua volta legatissimo al responsabile dell’Economia: al punto che nel Pdl la Finanziaria bis viene abitualmente chiamata la «manovra Tremonti-Calderoli». Senza contare che la rivoluzione ministeriale richiederebbe un passaggio legislativo.


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LA SINISTRA
 Almeno due fenomeni, distinti fra loro, ma fortemente correlati, sgomentano oggi chiunque osservi la turbolenta scena dell’economia e della finanza. Una scena che ormai fa del presente disordine mondiale il nostro pasto mediatico quotidiano. Il primo riguarda lo stolido e pervicace conformismo con cui banche centrali, governi, partiti, economisti, continuano a trovare «soluzioni alla crisi» riproponendo le usurate ricette che hanno l’hanno generato, e ora resa potenzialmente catastrofica.

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