I vitalizi scandalosi e nascosti nelle Regioni

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Per loro un diritto acquisito, anche dopo l’indignazione popolare del 2007 sui costi della politica, è sacro e inviolabile come la Ka’ba alla Mecca o la reliquia del dente di Buddha a Senkadagalapura.
In nessun altro caso il solco tra normalità  e privilegio è profondo come quando si parla delle pensioni. E lo dimostrano appunto certe storie come quella di Vernacchia, un operaio della Irisbus, lo stabilimento Fiat che produce autobus per il trasporto urbano a Valle Ufita, nella provincia di Avellino. È il primo gennaio del 2008. La fabbrica, che dà  lavoro a 750 persone, è in crisi. Sullo sfondo, lo spettro della chiusura. Il nostro Vernacchia ha 55 anni e più di 35 di contributi e le regole in vigore fissano come requisito per la pensione di anzianità  57 anni di età  e, appunto, 35 di contributi. Accetta di andare in mobilità . La prospettiva è chiara: un sussidio di 4 anni, il licenziamento, il passaggio morbido in pensione. Quando arriva a compiere i 57 anni e inoltra la sua brava domanda all’Inps, però, se la vede rifiutare: la «finestra» del 1° gennaio 2011 non c’è più. Le regole sono cambiate: adesso per avere la pensione di anzianità  di anni di contributi ce ne vogliono 40. Deve dunque aspettare il 31 dicembre 2011, che coincide con la scadenza della mobilità  e dell’assegno di sussidio. Ma non è finita. Via via che la situazione dei conti pubblici peggiora, infatti, l’anzianità  contributiva è stata nel frattempo portata a 41 anni. Risultato: potrebbe andare in pensione solo il 1° gennaio 2013. Ma non è finita ancora: la manovra finanziaria decide di spostare l’agognato appuntamento di un altro mese all’anno. Totale più due. Quindi se ne parlerà  a marzo 2013. Intanto, per più di un anno, naturalmente a scanso di altre sorprese, il nostro Vernacchia sarà  senza sussidio (in scadenza il 31 dicembre 2011), senza stipendio (dato che nel frattempo scatterà  il licenziamento) e pure senza pensione. (…)
Gerardo Bianco, l’ex segretario del Ppi (…) è un uomo sensibile e certamente soffrirà  per l’amaro destino dell’operaio che per di più, essendo lui pure irpino, è quasi un compaesano. Dei diritti acquisiti, però, gli interessano soprattutto quelli degli ex parlamentari. E nella veste di presidente dell’Associazione parlamentari cessati dal mandato (…) ha scritto un paio di accorate lettere ai colleghi in servizio. Lettere illuminanti. Per cominciare, a proposito del «problema delicatissimo, demagogicamente agitato in questi giorni, che riguarda lo status del parlamentare e il suo futuro», tuona che (…) «l’indennità  e il vitalizio, strettamente connessi nella loro funzione di garanzia della libertà  di deliberare, sono conseguenza diretta del dettato costituzionale, come previsto dagli articoli 67 e 69. Il vitalizio non è una pensione, ma un’assicurazione di vita rivolta a garantire anche nel futuro l’indipendenza del parlamentare…». (…) A farla corta, ammonisce Bianco, «con tutto il rispetto per chi lavora» ogni paragone è inaccettabile perché «l’indennità  parlamentare, nata con il suffragio universale, è l’essenza di una democrazia non elitaria e della libertà  di chi rappresenta il popolo» ed «è finalizzata a garantire il pieno e libero esercizio del mandato in condizioni di eguaglianza per tutti i parlamentari». Comunque (…) l’Associazione degli ex parlamentari è «del tutto disinteressata» (…) perché «la minacciata cancellazione dei vitalizi non può incidere sui diritti acquisiti, per un elementare principio di legalità ».
Domanda: che differenza c’è, nell’«elementare principio di legalità » costituzionale, tra i diritti acquisiti dell’operaio Ernesto Vernacchia e i loro? È demagogico chiederlo? Sono stati toccati mille volte, i diritti acquisiti dei cittadini. (…)
E lì torniamo: come può chiedere la comprensione dei cittadini su un taglio radicale, e probabilmente necessario, un ceto politico che rifiuta di toccare il «suo» sistema nonostante sia un colabrodo? Perché questo dicono le cifre. I vitalizi sono arrivati a pesare nel 2011 sui bilanci di Camera e Senato per un totale di 196 milioni di euro: 15 in più rispetto al 2006, nonostante l’adeguamento automatico sia stato congelato. (…)
Vogliono inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione? Inizino col riconoscere, concretamente, che la cosa oggi più lontana dal pareggio sono le pensioni parlamentari: alla Regione Lazio i contributi versati sono un decimo di quanto esce per i vitalizi. Alla Camera e al Senato meno di un undicesimo. Al netto dei reciproci versamenti, dovuti al fatto che molti sono stati ora deputati, ora senatori, addirittura un tredicesimo. Fosse accaduto qualcosa di simile a qualunque ente previdenziale, quell’ente sarebbe stato commissariato e rovesciato come un calzino. Il loro sistema, no. (…)
E se questo accade in Parlamento, dove l’attenzione dei giornali, dei cittadini, dei blogger è più vigile, nelle Regioni è spesso ancora peggio. In Puglia, ad esempio, nell’estate 2010 (…) Giovanni Copertino, ex democristiano ora berlusconiano, un politico di lunghissimo corso, già  sindaco, assessore, presidente della giunta e del Consiglio regionale della Puglia, uscito dopo vent’anni dall’assemblea, ha incassato una buonuscita («assegno di reinserimento») di 492 mila euro. Una somma extraterrestre, resa possibile dal fatto che a differenza dei comuni mortali, per i quali la buonuscita a fine attività  si calcola sulla base di una mensilità  per ogni anno di lavoro, quella dei consiglieri regionali pugliesi è pari a una annualità  per ogni legislatura: cioè 2,4 stipendi mensili per ogni anno di lavoro.
Un privilegio assurdo, che ha comportato solo nel 2010, per chiudere le pendenze delle legislature precedenti, un esborso per le casse regionali pari a 8 milioni di euro. Superiore addirittura ai 7.251.000 euro scuciti nel 2008 da Palazzo Madama per pagare gli «assegni di solidarietà » ai senatori rimasti senza seggio. «I soliti terroni!» dirà  qualcuno. Non è così: la stessa regoletta è in vigore anche in Lombardia senza che a Milano, «capitale morale d’Italia», nessun partito, e men che meno la Lega Nord, abbia organizzato manifestazioni di piazza davanti al Pirellone per chiedere l’abolizione di questo incredibile trattamento extralusso.
Nella Regione Lazio le pensioni sono ancora più favorevoli. Al punto che si può incassare l’assegno anche a 50 anni. Un esempio? Piero Marrazzo, travolto quando era presidente dallo scandalo dei ricatti trans e oggi (dopo aver incassato una liquidazione di 31.103 euro) «pensionato» dal 12 maggio 2010 quando aveva 51 anni, con la possibilità  di cumulare i circa 4.000 euro lordi allo stipendio, non proprio miserabile, di giornalista alla Rai, dove è rientrato dopo aver chiuso con la politica. Cumulo possibile proprio perché la sua non è una pensione: è un vitalizio…


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