I piccoli lavoratori di Iquitos
IQUITOS. Capitale del dipartimento peruviano di Loreto, città fluviale costruita dai gesuiti sul Maraà±à³n nel 1764, Iquitos conobbe il suo periodo di splendore all’epoca del caucciù, quando questa materia prima amazzonica era richiesta ed esportata in tutto il mondo. Nel corso del Novecento, la diffusione di piantagioni in molti paesi asiatici prima, e l’invenzione del caucciù artificiale derivato dal petrolio poi, hanno significato un lento e inesorabile declino per la regione.
Oggi, Iquitos ha superato il mezzo milione di abitanti, formicola di un assordante traffico di moto e tricicli a motore (i taxi motokar) e dipende sempre più dagli umori del Rio delle Amazzoni, che si forma nelle sue vicinanze alla confluenza del Maraà±on con l’Ucayali. È famosa per la bellezza e la liberalità delle sue donne ma ha anche il triste primato nazionale in turismo sessuale e prostituzione infantile.
Stando a Wikipedia, Iquitos è la più grande tra le città non raggiungibili via terra. In effetti, si arriva qui solo in aereo o con qualche imbarcazione: i quasi 400 km quadrati della città sono una specie di grande isola terrestre circondata da fiumi. I voli da Lima costano il doppio per i turisti stranieri, i visitatori annuali non superano i 25.000. Un suo enorme quartiere, Belén, costruito sul fiume tutto su palafitte, è considerato una Venezia amazzonica. Certo, una Venezia abbastanza tugurizzata, piuttosto malsana e un po’ pericolosa.
Chi scrive si trova qui insieme a due antropologhe per una video-inchiesta sui bambini e gli adolescenti che lavorano. Nei villaggi andini, dov’è cominciato lo studio, i risultati sono stati sorprendenti: la stragrande maggioranza dei bambini intervistati si sono detti favorevoli al lavoro infantile, differendo in questo dalla posizione di molti organismi internazionali e della stessa chiesa cattolica, che lo rifiutano in assoluto. Anzi, si sono dichiarati contenti di contribuire al bilancio familiare ma fortemente contrari allo sfruttamento e ai maltrattamenti. Sempre più coscienti dei loro diritti, si stanno organizzando in una rete nazionale di bambini e adolescenti (Rednna). Molti di loro, incredibilmente maturi, dividono la giornata fra studio e lavoro. Qui a Iquitos l’ambiente è molto diverso da quello delle Ande centrali, ma la voglia di discutere dei propri problemi e di farsi ascoltare è la stessa.
«Nella nostra contrada c’è molta violenza, nelle feste si beve molto e poi finisce sempre in risse con feriti, a volte morti. Siamo contro questi sfoghi violenti», dice Yanir Ràos Pacaya, 16 anni, «vorremmo che quelli più grandi di noi si divertissero in maniera più sana. Noi facciamo concorsi di canto, danza e poesia. E anche campagne ecologiche: il mese scorso abbiamo raccolto tonnellate di rifiuti dalle rive del fiume Nanay». Yanir è fra le fondatrici di Juventud en Progreso, un’associazione giovanile di una borgata che si chiama appunto Progreso e non gode di buona fama.
Il problema dell’inquinamento dei fiumi è tutt’altro che secondario per popolazioni che hanno sempre contato sulla pesca e la raccolta come due risorse principali.
Fitzcarraldo nel film di Werner Herzog stava per assumere le fattezze di Jason Robards, che girò metà film prima di ammalarsi e mollare, con Mick Jagger nel personaggio del suo assistente, che se la svignò anche lui con la scusa di un concerto con gli Stones. Ma finì per incarnarsi definitivamente in Klaus Kinski. Su youtube esiste un esilarante documentario backstage sulle difficoltà di lavorazione del film e le frizioni fra il carattere da prima donna di Kinski e il resto della troupe (My dearest enemy – Klaus Kinski, 1999). Accompagnato da una splendida Claudia Cardinale, magistralmente allucinato nell’animazione dell’interprete di Aguirre e Nosferatu, il Fitzcarraldo herzoghiano è ispirato a un personaggio reale di fine Ottocento: Carlos Fermàn Fitzcarrald, il maggior cauchero peruviano, che si fece costruire una casa leggendaria di 25 stanze, tutta di cedro, sulla riva del fiume Mishagua, scoprì – o meglio inventò – una «scorciatoia» terrestre tra fiumi che metteva in comunicazione l’Amazzonia peruviana con la brasiliana e la boliviana e morà 35enne, affogato nelle rapide dell’Ucayali in piena.
Se l’Amazzonia è il polmone del pianeta, il Rio delle Amazzoni è la sua aorta, in cui l’ultima fase del neoliberismo, la piຠaggressiva, sta già piantando i canini.
«Gli effetti del cambio climatico sono visibili su tutti i 6.000 e rotti chilometri del fiume», dice Roberto Rotondo. «In trent’anni che vivo qui (ma è da 50 che conosco la regione), non si era mai abbassato a questi livelli durante la stagione secca. Gli isolotti e i banchi di sabbia che avete incontrato risalendo il Maraà±à³n non si erano mai visti. Il pesce comincia a scarseggiare, per avere abbastanza paiche, il pesce di grandi dimensioni più richiesto per consumo umano, si stanno creando allevamenti in apposite lagune. Le comunità indigene cocama-cocamilla che vivono lungo le rive del fiume sono le più colpite dalla carestia».
Roberto è un italo-peruviano di terza generazione. Suo nonno Antonio emigrò dalla Puglia, Monopoli, per tentare la fortuna, sbarcò a Buenos Aires ma non si fermò (secondo lui, «c’erano troppi italiani») e finì per stabilirsi a Lima, dove aprì prima un’osteria, poi un ferramenta nel porto del Callao, si sposò con un’italo-peruviana ed ebbenove figli. Oggi Rotondo, che è stato ministro dell’industria durante la seconda presidenza di Belaàºnde Terry (1980-85), amministra un lodge sulla riva sinistra del Maraà±à³n, a quattro ore di barca a motore a monte di Iquitos, e ha armato tre barconi di lusso alla Fitzcarraldo con cui porta a spasso i turisti risalendo l’Ucayali.
«Ma se c’è un’industria in crisi all’interno della crisi generale, è il turismo. Una volta avevamo prenotazioni con mesi di anticipo per i nostri tour, c’era una lista d’attesa. Ora scarseggiano le richieste, anche perché c’è piຠconcorrenza. Il nostro concorrente piຠforte – dico sul serio – è Discovery Channel».
Tornando a Iquitos, dove i menù offrono anche spiedini di testuggine e filetti di caimano e le scarse librerie vendono solo libri religiosi, apprendiamo da un giornale locale di una manifestazione indetta per il giorno dopo da un esordiente Colectivo Amazonàa. L’ora dell’appuntamento nella Plaza de Armas – le 6 della mattina – non è delle piຠinvitanti ma qui tutti si svegliano prestissimo per evitare le ore piຠcalde, che superano i 40 gradi.
Della belle époque amazzonica, quella di Fitzcarraldo, c’è rimasto ben poco in città , a parte qualche palazzo maiolicato del centro e l’intrigante casa Eiffel, un prefabbricato metallico costruito in Francia dal famoso ingegnere e rimontato qui con un manuale di istruzioni nel 1895. Altre tre case di questo tipo furono spedite da Gustave Eiffel in Argentina. Una di queste finà in Cile.
Le richieste del Colectivo Amazonàa, che pur essendo di recente formazione si innesta su una tradizione di lotte ben radicata, sono: cancellazione del progetto di deviare i fiumi Maraà±à³n e Huallaga – un megatravaso alla cinese per irrigazione agricola e generazione di energia idroelettrica -, misure di risanamento per la città , assediata dalle nuove borgate abusive, controllo delle attività estrattive e petrolifere, trasparenza nei lavori pubblici.
«L’unica strada che collega Iquitos a Nauta, meno di cento chilometri, è stata ribattezzata “la strada dei milionari”, perché è costata più di un milione di dollari a chilometro. Due modeste corsie d’asfalto!», dice l’ingegner Mario Pinedo, uno dei fondatori del Colectivo. L’ingegnere ha creato un estratto di due frutti tropicali, il camu camu e il noni, poco conosciuti fuori dalla selva amazzonica. Il noni è originario della Polinesia. La loro combinazione, dice il fogliettino, cura reumatismi, bronchiti, infiammazioni, insonnia, cistiti, artriti e allergie varie.
Iquitos fa anche da sfondo al romanzo di Vargas Llosa Pantaleà³n y las visitadoras, in cui il protagonista, il capitan Pantoja, organizza con innocenza patriottica un servizio di bordello ambulante per i soldati sperduti nella selva.
Valeria Hauanari, 19 anni, attivista dell’associazione Juventud en Progreso, si dichiara indignata dal reportage di un giornale spagnolo sulla prostituzione infantile a Iquitos (http://www.larazon.es/noticia/8671-iquitos-la-ciudad-prostibulo).
«È una generalizzazione assurda. Fa apparire l’intera città come un lupanare. Non nego che il fenomeno esista, ma penso che un articolo così lo sta magnificando e finisce per dare una falsa immagine di Iquitos».
Valeria ammette che la sessualità delle ragazze qui si sveglia prima che in altre latitudini, che molti trentenni hanno delle amanti quattordicenni, che il mito della verginità qui non ha mai attecchito. «Ma la grande apertura delle donne charapas (del dipartimento di Loreto, ndr), che portano la moto meglio degli uomini, non ha niente a che vedere con la prostituzione. È solo una manifestazione di libertà ».
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