by Sergio Segio | 10 Settembre 2011 6:56
C’è uno scarto vistoso, fra le parole che si colgono in Vaticano su Silvio Berlusconi, e quelle dei berlusconiani sulla Chiesa cattolica. Parlano entrambi della «diga» rappresentata dal Cavaliere in questi anni. Solo che nell’episcopato si comincia a pensare che sia crepata e sul punto di crollare. Anzi, qualcuno cerca di prepararsi all’uscita di scena del Cavaliere, e di mostrare che i legami col suo centrodestra non sono stati stretti come appaiono: quasi il Vaticano temesse di rimanere schiacciato dalle macerie. Gli uomini più vicini al presidente del Consiglio, invece, suggeriscono cautela. Negano qualunque ostilità o presa di distanza della Santa Sede e dei vescovi da Berlusconi. E invitano i loro pii interlocutori a non darlo per spacciato.
Si tratta di un rompicapo politico che sarà difficile risolvere a breve. Gli appelli delle gerarchie cattoliche a fare emergere una nuova classe politica finora sono caduti nel vuoto. I movimenti di ispirazione cristiana si muovono in modo scoordinato. E lo stesso episcopato è diviso fra un appoggio di fatto a Berlusconi, l’imbarazzo per i suoi comportamenti privati e la freddezza verso la manovra economica. Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, entrambi cattolici, si sono scontrati sui tagli alla scuola. E non si vede ancora «una delegittimazione radicale dell’evasione fiscale», ha scritto ieri il Sir, il Servizio di informazione religiosa della Cei: una critica che tocca lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, fino a qualche mese fa interlocutore privilegiato del Vaticano di Benedetto XVI.
Divincolarsi dalla pluriennale consuetudine con l’attuale maggioranza non sarà né facile, né indolore. In modo magari brutale, ma efficace, un esegeta del premier pone la Chiesa cattolica davanti a un’alternativa secca: da una parte, dice, c’è Berlusconi con le sue telefonate e le sue donne; dall’altra c’è la sinistra con le sue leggi «relativiste». L’alternativa sarebbe retorica, secondo questa analisi: vescovi e Santa Sede non potranno che optare per l’attuale coalizione governativa. I seguaci del Cavaliere offrono uno scenario da brivido, per l’ortodossia cattolica: un’Italia che, mentre in Spagna declina il laicismo del premier socialista Luis Rodriguez Zapatero, si «zapaterizza», mandando al potere un Pd accusato di subalternità alla Cgil, a Di Pietro e a Vendola.
Fa riflettere l’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, che ieri ricorda «lo sciopero bolscevico» che nel 1919 non lo fece uscire. Se si rompe la «diga» eretta nell’era berlusconiana, non ci sarà una «seconda diga» a guida cattolica, in grado di arginare i detriti laicisti: è questo l’incubo che il centrodestra evoca davanti agli occhi preoccupati di Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e del segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Anzi, va oltre. Perpetua il mito di un Cavaliere che risorge sempre dalle ceneri: dopo il 1994, dopo il 2001, dopo il 2006; e anche dopo queste settimane di passione economico-giudiziaria. E chiede a chi Oltretevere dà per imminente la sua caduta: ne siete sicuri? Sta tramontando o è solo un’eclissi come quelle del passato?
Si tratta di una domanda insidiosa. Scommette sul mito berlusconiano dell’invincibilità , che evidentemente ha fatto breccia anche in quel mondo. E promette una transizione guidata da Palazzo Chigi; e destinata a consegnare gradualmente il potere alla generazione del nuovo segretario del Pdl, Angelino Alfano. La speranza, o forse l’illusione della Cei, è che si allei con l’Udc di Pier Ferdinando Casini in nome di una nuova legge elettorale. Anche se la decisione di scegliere un giovane come Alfano, candidato ieri da Berlusconi come prossimo premier, mostra una consapevolezza che Umberto Bossi non ha avuto. Ma la tesi dell’«accompagnamento morbido» fuori dalle stanze del potere, quel «blocco dei processi penali» ventilato da Rocco Buttiglione, viene letta non come una concessione di tregua offerta graziosamente al capo del governo dagli avversari. Il Pdl si sforza di venderla come segno di forza di un Berlusconi che può negoziare il suo futuro.
Ma non ci sarà negoziato. «Il Cavaliere non si farà notabilizzare come un qualunque democristiano», è l’avvertimento. Combatterà fino alla fine. Già , ma che contorni avrà la fine? La Chiesa li vorrebbe incruenti, con una rete di protezione sia per Berlusconi sia per le sue aziende. Non è raro cogliere negli interlocutori vaticani la preoccupazione per la sorte delle sue reti tv e di chi ci lavora. Il timore che cadano nelle mani di stranieri, magari di un Rupert Murdoch che in Gran Bretagna «ha fatto quello che ha fatto con le intercettazioni», è esplicito. Meglio il «male minore» di Berlusconi, rispetto a marziani dai quali è illusorio pensare di ottenere garanzie. È la fotografia di una situazione bloccata; e dell’incapacità del Vaticano e del cattolicesimo politico di smuoverla.
Le stesse ipotesi di governi diversi dall’attuale sotto la spinta dell’emergenza, si presentano con un profilo ambiguo. In un’Italia che promette di trasformarsi in un deserto battuto dal vento dell’antipolitica, la Chiesa cattolica è probabilmente l’unica ad avere dietro un mondo, dei valori, e un potenziale esercito. Ma i nostalgici della Dc trascurano che non esistono né il contesto internazionale della guerra fredda, né l’Italia cattolica degli anni Cinquanta del secolo scorso, né l’energia vitale di allora. Si vedono solo un Paese che cerca una guida per risollevarsi, forse per salvarsi, perché Berlusconi non riesce più a parlargli come prima; e una Chiesa che comincia a chiedersi con inquietudine che cosa si possa fare per chiudere questa lunga fase senza traumi. Il rischio è che la risposta piombi addosso a tutti, cogliendoli impreparati; e che fotografi impietosamente i ritardi e le contraddizioni accumulati in questi anni, spazzando via la transizione pacifica accarezzata dall’episcopato.
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