Guidava l’auto, «multata» con dieci colpi di frusta
Najla Haddad, capo della campagna Biladi (mio Paese) per il diritto al voto delle donne in Arabia, al telefono da Gedda commenta a caldo l’ultima notizia: la condanna a dieci frustate di una giovane donna, Shayma Ghassaniya, per aver guidato in luglio nel Regno. Una cosa mai successa nel solo Paese al mondo che proibisce alle sue cittadine di prendere il volante, nonostante non esistano leggi in proposito, solo un vago editto religioso e il rifiuto delle autorità di rilasciare loro patenti. Una doccia fredda dopo l’annuncio di re Abdullah, domenica, che le saudite potranno votare e candidarsi alle amministrative nel 2015, concessione che la stessa Najla aveva salutato come un «primo passo» nonostante per molti (e molte) sia troppo poco e lontana nel tempo.
«Il giudice di Gedda che ha condannato Shayma alla frusta ha lanciato un chiaro messaggio: voi donne siete sempre sotto il nostro controllo, non illudetevi. Ma è inaccettabile, come lo è il fatto che altre due guidatrici, Najla Hariri e un’altra, rischino ora la stessa condanna», continua Haddad, per la quale poco cambia che Shayma sia ricorsa in appello e la pena per il momento non venga inflitta. Finora, come per gli uomini sorpresi a guidare senza patente, la polizia si limitava a multare le saudite che osavano sfidare il divieto, per altro tutte in possesso (come Shayma) di patente internazionale. Lo scorso 17 giugno erano state più di 200 a farlo: oltre alla multa, se fermate, avevano dovuto firmare un impegno a «non farlo mai più», i mariti (o padri) erano stati convocati in commissariato, qualcuna aveva passato un po’ di giorni in cella. Ma nessun caso era finito in tribunale. E le frustate, previste dalla sharia solo per delitti gravi, non erano state nemmeno immaginate, anche se accanto al fiorire di pagine Facebook delle attiviste, negli ultimi mesi altre ne sono state create dai (tanti) sostenitori delle punizioni corporali per mogli o sorelle dai comportamenti «indecenti», guida compresa.
Proprio su Facebook, Twitter e via sms, la rabbia ieri è esplosa in Arabia. Intanto Mohammad Al Qathani, capo dell’Associazione per i diritti civili, da Riad denunciava l’arresto di un’altra guidatrice e la repressione di una mini-protesta di donne davanti al ministero dell’Istruzione, pure questo un inedito o quasi. «Ma molte di noi, e io concordo, preferiscono non sfidare apertamente il governo, la forza serve poco in questo Paese — sostiene Haddad —. Il che non significa rassegnarsi, anzi: stiamo mandando una petizione a re Abdullah perché intervenga nel caso di Shayma e ne eviti altri, lavoriamo su una nuova campagna. E visto che il diritto al voto è previsto solo per il 2015 abbiamo chiesto al sovrano che parte dei consiglieri che spetterà a lui nominare nei nuovi consigli comunali, già nei prossimi giorni, siano donne. Stiamo aspettando la sua risposta».
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