by Sergio Segio | 12 Settembre 2011 6:30
Atene. L’addio all’euro della Grecia non è più un tabù. Il premier George Papandreou continua a esorcizzare lo spettro del default («non finiremo in bancarotta», ha ribadito ieri). E ha varato una patrimoniale sugli immobili da 2 miliardi per convincere gli organismi internazionali a sbloccare la tranche di aiuti (8 miliardi) prevista a fine settembre. Bruxelles ha applaudito le nuove misure d’emergenza. La strada per il salvataggio di Atene resta però in salita e la tentazione di abbandonare il paese al suo destino – specie tra le nazioni più euroscettiche – è sempre più forte. A dar fuoco alle polveri è stato pochi giorni fa Tino Soimi dei “Veri finlandesi”: «Non possiamo dare soldi agli imbroglioni. La Grecia fallirà », ha buttato lì. Pareva l’uscita colorita di un leader populista. Invece il partito del (possibile) ritorno alla dracma si è rivelato più robusto del previsto. Il premier olandese Mark Rutte ha scritto una lettera alla Ue auspicando una legislazione che «consenta di abbandonare la moneta unica a chi non vuole farsi etero-dirigere», con chiaro riferimento alla situazione ellenica.
Ma il carico da novanta l’ha calato ieri il ministro all’economia tedesco Philip Roesler: «Per stabilizzare l’euro non bisogna aver paura di pensare ad alcune opzioni “estreme” tra cui l’insolvenza ordinata della Grecia», ha dichiarato a Die Welt. Un’opinione molto gettonata a Berlino dove il ministro alle finanze Wolfgang Schauble avrebbe dato mandato ai suoi esperti di studiare un piano per ridurre al minimo i danni di una possibile uscita di Atene dalla moneta unica. I mercati hanno fiutato l’aria di default: i cds, gli strumenti finanziari per assicurarsi contro la bancarotta greca, sono schizzati a quota 3.767, pari a un 94% di possibilità di crac. E i tassi sui titoli biennali sono decollati allo stratosferico rendimento del 54%.
Il pressing internazionale è cresciuto nelle ultime settimane, da quando è stato evidente che né l’austerity né i due piani di aiuti di Ue, Bce e Fondo monetario (il primo da 87 miliardi già attivato, il secondo da 110 in attesa di ok) sono stati sufficienti per riportare in carreggiata i conti. Il pil ellenico è calato del 7,3% nel secondo trimestre 2011, lontanissimo dal meno 3,5% previsto per fine anno. Una commissione parlamentare ha ammesso che «le dinamiche del bilancio sono fuori controllo» e l’obiettivo di un rapporto deficit/pil al 7,6% entro fine anno – previsto dagli accordi con la Ue – «è irrealistico». «Conclusioni affrettate e sbagliate», ha detto Papandreou, salvo ammettere oggi che a valle della manovra d’emergenza sugli immobili si arriverà a un rapporto dell’8,1%.
Il premier del resto è in un cul de sac. Stretto tra un consenso interno sceso ai minimi storici (il Pasok è scivolato nei sondaggi al 19%, 5 punti in meno del centro-destra di Nea Demokratia) e del continuo rilancio delle richieste da parte della trojka: Bruxelles, Eurotower e Fmi hanno imposto all’esecutivo un taglio supplettivo di 1,7 miliardi dal bilancio a inizio mese e la loro missione – dopo la rottura di due settimane fa – rientrerà ad Atene dopodomani per verificare se esistano le condizioni per sbloccare gli 8 miliardi di aiuti.
Atene ha bisogno di questi soldi come il pane: nelle casse dello Stato ci sono soldi sufficienti per pagare gli stipendi pubblici solo fino a fine settembre. Evangelis Venizelos, il ministro delle Finanze, ha sondato il mercato con un’asta di titoli da un miliardo la scorsa settimana. Con risultato disastrosi: i tassi restano altissimi. E le banche greche – alle prese con una strisciante fuga di capitali (in diciotto mesi i depositi sono calati da 240 a 180 miliardi) e a corto di liquidità – ne hanno sottoscritti solo 150 milioni, la metà del previsto.
Papandreou, per ora, tira dritto. «Siamo in guerra e chiedere soldi ai nostri cittadini è come comprare armi». La perdita di consensi? «Il governo sarà giudicato nel 2013». Niente elezioni anticipate dunque, come chiedono in molti. Anzi. Avanti con l’austerity malgrado gli scricchiolii all’interno della maggioranza socialista, divisa soprattutto dal piano lacrime e sangue che decollerà nei prossimi giorni e prevede il taglio di 150mila dipendenti pubblici entro il 2013.
La manovra approvata ieri – una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato – impone una tassa straordinaria per due anni sugli immobili che va da 5 a 10 euro a metro quadro e che si pagherà nella bolletta elettrica. Più nuovi balzelli su alcolici e sigarette e un giro di vite fiscale sui conti correnti in banche straniere. Basterà ? L’Europa apprezza («Atene va nella direzione giusta, ora dobbiamo accelerare sul fondo salva-Stati garantendo un’approvazione rapida», ha commentato il commissario agli Affari economici Olli Rehn), ma nel dubbio allaccia le cinture di sicurezza. Un crac improvviso della Grecia rischia di trascinare nel baratro Portogallo, Spagna e Italia, e di travolgere le banche continentali. Non a caso in queste ore, con grande discrezione, le autorità monetarie e politiche della Ue – Germania in testa – stanno studiando il percorso migliore per “pilotare” un eventuale default ellenico senza far avvitare in una drammatica crisi l’intera Europa. E tutti si sono accorti che, caso mai le Cassandre avessero visto giusto, non sarà una passeggiata.
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