Gli indignati del 15 ottobre

by Sergio Segio | 25 Settembre 2011 7:37

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ROMA. Un’assemblea piena di ragazzi e ragazze, il programma di una mobilitazione per i beni comuni, per lo stato sociale, per il lavoro: per cambiare la politica e soprattutto questa classe politica. Non sembrava neanche di stare nella depressa Italia, ieri, all’ex cinema Palazzo occupato di San Lorenzo. Gli «indignati» infatti, e cioè i movimenti, gli studenti e i ricercatori, gli attori e tecnici del Teatro Valle, la Fiom, politici moderni e sburocratizzati come Luigi De Magistris hanno un programma ambizioso: ridare ossigeno al nostro Paese ribaltando la logica della crisi e del debito, che dovrebbe farci digerire tutti i tagli, e ripartire per una vera alternativa. Non solo far cadere Berlusconi, ma costruire un futuro a partire dalle esperienze dell’ultimo anno: dalla manifestazione Fiom del 16 ottobre 2010 a quelle degli studenti e delle donne contro gli orrori dell’«utilizzatore finale», fino alle ultime amministrative e ai referendum. Un magma vivo e appassionato, variegato ma unito, che in Italia si raccoglierà  il prossimo 15 ottobre, per una grande manifestazione a Roma.

Posta così, come tante cose a sinistra, potrebbe sembrare anche il festival delle utopie, ma non a caso gli organizzatori dell’assemblea di ieri hanno voluto ancorare le prossime mobilitazioni, a partire da quella del 15 ottobre, a quanto di più concreto e positivo abbiamo oggi in Italia, la Fiom appunto, con i suoi operai quotidianamente in lotta con la crisi, la Fiat e le altre imprese, e l’esperienza – difficilissima ma entusiasmante – di un amministratore come De Magistris, che in una realtà  dura come Napoli tutto può tranne che fermarsi a sognare. «I partiti di oggi nun c’a fannu», dice tra gli applausi il sindaco di Napoli, auspicando una nuova politica che peschi dai cittadini e dai movimenti la linfa per l’azione. E Maurizio Landini, il segretario della Fiom, dice che «c’è un attacco senza precedenti al lavoro e alla democrazia», e che «se la Fiom sarà  in piazza con i movimenti per cambiare la politica, gli studenti e i precari devono sostenere gli operai nella loro battaglia per il contratto nazionale e per la cancellazione dell’articolo 8, perché la minaccia all’articolo 18 e la derogabilità  dei contratti e delle leggi è una minaccia per tutti».
Un anno di lotte (e di successi)
A tracciare il percorso che ha portato all’assemblea di ieri, e soprattutto alla manifestazione del prossimo 15 ottobre, è Francesco Raparelli, ricercatore universitario e tra gli organizzatori insieme a «Uniti contro la crisi» (cartello di movimenti che vede tra gli altri Luca Casarini e il portavoce della «Cgil che vogliamo» Gianni Rinaldini): «Idealmente tutto è iniziato con Pomigliano, il nuovo modello di relazioni industriali che la Fiat ha voluto imporre l’anno scorso e che molti, anche alcuni sindacati, dicevano essere un caso unico, isolato, che non si sarebbe ripetuto: e invece oggi vediamo a che punto siamo. Poi c’è stato nei mesi successivi il 16 ottobre della Fiom, il movimento degli studenti, il 14 dicembre, le manifestazioni delle donne. Proteste che non abbiamo visto solo in Italia, ma che sono arrivate al cuore della finanza, alla City di Londra. E poi le ultime elezioni amministrative, e i referendum, in cui 27 milioni di italiani hanno detto no alle privatizzazioni». «Non basta parlare solo della caduta di Berlusconi, ma si deve costruire una vera alternativa, legando la radicalità  dei movimenti alla capacità  di incidere sulle istituzioni».
«Europa, rise up!»
Tanti nodi ricorrono negli interventi: «Lottiamo contro l’inserimento nella Costituzione della regola aurea, cioè l’obbligo del pareggio di bilancio, perché esso si traduce nella politica dei tagli e della crescita a tutti i costi, a discapito del welfare e dei diritti di cittadinanza». «No al pagamento del debito così come è posto dai governi europei e dalle banche». «No alle politiche imposte dalla Bce». Lo slogan è «Europa, rise up!» (risollevati!), ma a partire da un nuovo modello sociale ed economico. I lavoratori del Teatro Valle occupato parlano dei tagli alla cultura, e spiegano che con tanti intellettuali, da Ugo Mattei a Stefano Rodotà , stanno cercando di ridefinire lo statuto giuridico dei «beni comuni», in modo da non fare lotte vaghe e velleitarie, ma basate su obiettivi credibili e precisi. «Bisogna affiancare allo Statuto dei lavoratori – spiegano – tanti altri Statuti della cittadinanza, dei beni comuni, di cui dobbiamo riappropriarci». Sarà  anche per questo, che proprio lo spazio dell’ex cinema Palazzo, che una speculazione vorrebbe trasformare in casinò, è quanto mai adatto all’assemblea.
Il sindaco e l’operaio
Landini si concentra sull’articolo 8: «È un attacco che non va sottovalutato – spiega – Vuol dire che tutto sarà  derogabile, che si potrà  lavorare ad esempio 60 ore a settimana. È la “balcanizzazione”, la competizione tra diritti e persone. Non solo dobbiamo fare di tutto perché questo governo lo cancelli, e ricorrere alla Corte costituzionale e se serve a un referendum, ma aggiungo che se il prossimo governo non si impegna a cancellarlo è come se non cambiasse nulla: non siamo disposti a compromessi». Una riflessione, insomma, sul dopo-Berlusconi: «Un precario, se resta precario anche con un prossimo governo di centro-sinistra, non è che è più contento – dice Landini tra gli applausi – E allora più che un programma di 280 pagine, ci dicano 5 o 6 cose che vogliono fare, ma rimettendo al centro il lavoro». Il leader della Fiom conclude con un appello: «Noi saremo il 15 con voi, ma voi non lasciateci soli: in ottobre pensiamo a un grande sciopero generale nella Fiat, e dobbiamo stare uniti».
Altrettanto applaudito De Magistris, che ha voluto iniziare spiegando che «a Vittorio Arrigoni, che scriveva sul manifesto e a cui è dedicata la sala del cinema in cui stiamo parlando, noi a Napoli stiamo pensando di intitolare uno spazio pubblico». De Magistris ha aggiunto che insediatosi ha trovato «zero euro in cassa, 220 milioni tagliati dal governo e 2500 tonnellate di rifiuti: ma è stato l’entusiasmo della gente che mi ha sostenuto già  dalla campagna elettorale a darmi l’energia». Secondo il sindaco di Napoli, è proprio questo modello che bisogna ripetere su scala nazionale: «Basta con la politica lontana dalle persone: facciamo sì che i movimenti incidano sulla classe politica e la cambino. Questa manovra del governo non era l’unica possibile: potevano tassare le rendite, i grandi patrimoni, i capitali scudati degli evasori e dei mafiosi, ricavando 20 miliardi di euro. Noi a Napoli non abbiamo tagliato welfare e cultura, ma le esternalizzazioni dei servizi e le consulenze. Abbiamo “liberalizzato” gli artisti di strada, stiamo pedonalizzando le vie, potenziando i mezzi pubblici senza aumentare i biglietti, perché così la gente è invogliata a uscire. La città  non è più sicura con più militari, ma se tutti escono e si conoscono. Così invogliamo anche i turisti a visitarci. Ho ripubblicizzato delle spa che gestivano servizi. Ho stracciato 100 contratti di consulenza da 150 mila euro lordi ereditati da 20 anni di centrosinistra. Mi è costato, ma la gente è con me». «Daje!», incita il pubblico. E allora il 15 tutti in piazza.

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