Gli Hedge fund puntano sul default morbido acquistati a man bassa i titoli pubblici greci

by Sergio Segio | 30 Settembre 2011 7:30

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NEW YORK – E se il salvataggio della Grecia si trasformasse in un gigantesco regalo agli hedge fund e a qualche banchiere, a spese del contribuente tedesco? Il sospetto affiora, dall’ultima scommessa in voga tra i gestori di hedge fund. Dopo essersi arricchiti con le puntate ribassiste ai danni delle banche francesi, oggi i maghi del trading hanno cambiato gioco. L’operazione prediletta ha per oggetto proprio i titoli di Stato emessi da Atene. Per l’esattezza, secondo informazioni raccolte dal New York Times, gli hedge fund avrebbero accumulato negli ultimi due mesi ben 40 miliardi di euro in titoli del Tesoro greco. Una scommessa azzardata? Mica tanto, se si guarda bene il meccanismo della “ristrutturazione ordinata” del debito greco, così com’è stato illustrato da Bce, Fmi e Commissione europea. Oggi i bond greci vengono scambiati sui mercati a quotazioni che sono appena di 36 centesimi per ogni euro di valore nominale (quello “stampato” sul titolo all’emissione). Ma se il piano di salvataggio della Grecia procede secondo le linee fin qui concordate, quei bond verranno scambiati a fine ottobre con altri titoli, di durata più lunga, che potrebbero valere sul mercato secondario 70 centesimi per ogni euro nominale. Dunque gli hedge fund potrebbero raddoppiare il capitale investito, in soli tre mesi. Tutto questo presuppone naturalmente che i Parlamenti dell’eurozona ratifichino il fondo salva-Stati, qualche rischio di deragliamento esiste, ma al momento l’iter sembra bene avviato. E così, proprio mentre alcune banche cedevano a prezzi di svendita i loro bond greci, sono subentrate le “mani forti” di altri banchieri e degli hedge fund a rilevarli. Guarda caso questi investitori hanno cominciato a fare incetta dei titoli pubblici greci dopo il 21 luglio quando divennero chiari i termini del “swap” per 135 miliardi di euro di quei titoli. Questo non fa che confermare ciò che molti sospettavano, da Atene a Berlino: e cioè che le condizioni decise per la ristrutturazione del debito greco sono troppo generose con gli investitori, e troppo severe con i contribuenti. Otmar Issing, che fu un membro tedesco del board della Bce, lo ha dichiarato: «Tutti sanno che quest’operazione è un affarone per le banche mentre non aiuterà  affatto la Grecia a riprendersi». A maggior ragione si giustificano le resistenze dell’opinione pubblica tedesca, che hanno costretto Angela Merkel a un pressing defatigante per ottenere il via libera dal suo Parlamento. All’origine molti protagonisti tedeschi di questa vicenda, compreso Issing, avrebbero voluto che la ristrutturazione del debito imponesse agli investitori una perdita ben più sostanziosa, dell’ordine del 50%. E’ quella che la stessa Merkel aveva definito «una rasatura dei capelli per i banchieri». Ma la sua battaglia fu vana. Alla fine anche le banche che hanno mantenuto cospicui portafogli di bond greci potrebbero vedersi infliggere perdite inferiori al 21%. In alcuni casi gli investitori privati potrebbero subire un modesto 10% di perdite. E’ chiaro chi ne fa le spese. Se nella ripartizione dei sacrifici fosse stato deciso un onere più sostanzioso a danno dei titolari di bond, di converso sarebbe stato meno pesante il taglio di spese sociali da parte del governo greco. Ma il governo di Atene, screditato per i trucchi contabili del passato e per i ripetuti insuccessi delle sue manovre di austerità , ha avuto un potere negoziale vicino allo zero. Viceversa nelle trattative sulla ristrutturazione del debito ha pesato la forza contrattuale dell’Institute of International Finance, la formidabile lobby dei banchieri presieduta da Josef Ackermann, ex chief executive della Deutsche Bank. Alcune banche, va ricordato, sono a loro volta proprietarie di hedge fund.

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