by Sergio Segio | 10 Settembre 2011 7:05
ROMA – La più grave crisi dalla Seconda guerra mondiale. Il triennio della Grande Recessione, 2007-2009, ha inciso nella carne viva delle economie occidentali come solo la Depressione del 1929, falcidiando i bilanci di famiglie e Stati, spazzando via posti di lavoro, travolgendo i sistemi produttivi. Uno scenario che, per la prima volta, può essere spiegato attraverso la lente della distribuzione dei redditi. Quali tasche sono state colpite, di quanto e per quanto tempo. E quali code velenose eredita il futuro. Segnato, come dicono gli esperti, dall’effetto “cicatrici”. Scopriamo, così, che l’Italia paga molto, più degli altri. Con lei, i suoi giovani, i precari, i dipendenti con le buste paga leggere, gli autonomi. Resistono i pensionati, garantiti dall’unica, vera, forma di protezione sociale del Paese.
“La Grande Recessione e la distribuzione del reddito delle famiglie” è il titolo del rapporto che oggi, a Palermo, verrà presentato alla XIII Conferenza europea organizzata dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti. I dati, finora inediti, partono da un paradosso. Nel triennio nero i Pil dei principali paesi dell’Ocse tracollano: dal -10,9% dell’Irlanda al -0,99% della Norvegia. Si salva solo la Svizzera. L’Italia perde oltre 6 punti. Il Regno Unito il 5. La Germania il 4. La Francia il 3. Eppure, il reddito delle famiglie quasi ovunque aumenta, anche poco, grazie ai sostegni pubblici. In Italia no, crolla di oltre 3 punti, unico paese con Danimarca e Belgio.
Cosa c’è in quel meno tre? La crisi reale. Misurabile dal reddito delle diverse categorie di lavoratori prima e dopo la crisi. Gli autonomi passano da +18,2% a -12 («i più volatili al ciclo economico»), i dipendenti da -2,2 a -1,6, i pensionati da +7,4 a +3,4%. Con una forte distanza tra il 10% più ricco e quello più povero. Ma a colpire è il tasso di chi ha difficoltà ad arrivare a fine mese: nel 2008, cuore della crisi, sfiora il 17% contro il 7% della media Ue. Ancora, sempre nel 2008, l’11% degli italiani ha problemi a riscaldare la casa, l’8% non riesce a fare un pasto completo. Tra questi ultimi, nel 2009 è fortissima la componente dei giovani tra 15 e 25 anni, i lavoratori temporanei, i disoccupati e soprattutto al Sud. D’altronde, i numeri della crisi italiana sono apocalittici, come riportano i ricercatori Brandolini, D’Amuri, Faiella: produzione industriale -27,2%, Pil -7%, 764 mila posti bruciati (fino ad agosto 2010).
«La domanda è: per quanto ancora si faranno sentire le conseguenze? L’effetto cicatrici sarà di lungo periodo e affliggerà soprattutto i giovani, che quella crisi l’hanno subita più di tutti», spiega l’economista Tito Boeri. L’altra questione è come mitigare questo effetto. «L’Italia durante la crisi ha fatto poco o nulla. Con l’esclusione degli stabilizzatori automatici, ovvero i sussidi di disoccupazione (+4,2%), nessun’altra misura è stata messa in campo. Mentre Cina, Usa, Giappone sostenevano famiglie e imprese. Ora – aggiunge Boeri – il dualismo nel mercato del lavoro si è ampliato, con più occupazione precaria. Ci chiediamo se il vincolo del pareggio di bilancio, che anche noi inseriremo in Costituzione, sia lo strumento giusto per adattare il finanziamento della spesa sociale al ciclo economico». Ovvero mettere fieno in cascina, quando l’economia gira, scongiurando di doverlo poi usare.
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