by Sergio Segio | 5 Settembre 2011 16:19
Per quanto ancora il governo può andare avanti così? La Germania non è mai stata così importante per l’Europa quanto oggi. Il problema è che la sua politica estera non è mai stata così debole. Ogni giorno che passa la crisi della politica estera corrode sempre di più quella che un tempo era la politica interna tedesca. Il destino del governo sarà deciso dalla risposta a una sola domanda: riuscirà l’esecutivo a ridefinire la posizione della Germania in Europa? Oppure, per metterla in modo più drammatico: riuscirà a fare in modo che i tedeschi si sentano di nuovo a casa in Europa?
La cancelliera deve temere per la solidità della sua maggioranza, che continua a dipendere dal salvataggio dell’euro. La sua collega di gabinetto Ursula von der Leyen, sfruttando le indecisioni strategiche di Merkel per guadagnare posizioni come possibile successore, spinge per la creazione degli “Stati Uniti d’Europa”. Sfortunatamente per Csu e Fdp, si tratta di una formula ampiamente detestata dalla maggioranza dei tedeschi.
Inoltre, proprio nel momento in cui le decisioni in politica estera sono di vitale importanza, la Germania si ritrova con un ministro degli esteri che nessuno prende più sul serio. I futili tentativi di Guido Westerwelle di ascrivere il merito della caduta di Gheddafi alle sanzioni della Germania hanno definitivamente messo in chiaro la confusione politica che regna a Berlino. A essere in libertà vigilata non è soltanto Westerwelle, ma l’intera politica estera tedesca.
Berlino è alle prese con le problematiche legate al riarmo, all’alleanza con l’occidente e alla politica per il Medio Oriente. Ma la domanda più importante è un’altra: quale è il futuro del paese in Europa? La politica dell’integrazione europea, un tempo appannaggio esclusivo dei tecnocrati, è diventata il palcoscenico della crisi d’identità della Germania. La vecchia teoria secondo cui il paese è troppo piccolo per egemonizzare l’Europa e troppo grande per stare sullo stesso piano delle altre nazioni sembra ormai superata.
Inoltre il vecchio compromesso – alla Germania il controllo dell’economia e alla Francia la ribalta politica – non funziona più. Un tempo la Germania era in grado di “comprare potere”, ma oggi è diventata anche una forza politica indispensabile per il vecchio continente. L’Europa non può salvarsi senza la Germania, né contro il suo volere.
La Francia ha spinto parecchio per la creazione dell’euro come collante tra i paesi dell’Unione, anche per impedire che la Germania conquistasse l’egemonia in Europa. Ironia della sorte, è stata proprio la moneta unica a porre le basi del dominio tedesco. La Germania è il vincitore d’Europa, la stessa Europa dalla quale molti tedeschi si sentono traditi. L’euro ha trasformato la Germania nel dominatore riluttante d’Europa. Il paese ha paura dell’Europa, e allo stesso tempo gli europei hanno paura del potere della Germania. Proprio nel momento in cui i tedeschi hanno smesso di sentirsi un modello per gli europei e hanno cominciato a pensare di essere vittime dell’idea Europa, ecco che tocca alla Germania ricostruire l’Unione. Un tempo il valore dell’Europa unita era universalmente condiviso, ma oggi sono in molti a credere che “più Europa” sia soltanto un rischio per la prosperità e il benessere.
Spinta dai mercati, la cancelliera sta cercando con grande cautela e circospezione di rafforzare la nuova Europa. Ufficialmente Angela Merkel combatte per la diffusione della cultura tedesca della stabilità , ma è grazie alla sua politica che termini come “governance economica”, “ministro delle finanze europeo”, Eurobond e adesso addirittura “Stati Uniti d’Europa” sono entrati gradualmente nella sfera del concepibile.
Volando basso per sfuggire ai radar, la Germania ha iniziato a rimodellare l’Europa a sua immagine somiglianza: Nicolas Sarkozy, un tempo paladino dei paesi debitori, si è trasformato nel campione della stabilità . Il governo tedesco deve però abbandonare la sua risolutezza strategica e spiegare perché il comportamento della Germania è di nuovo cambiato così radicalmente.
Oltre ai problemi legati all’Europa, in Germania rimane aperta (come sempre) la spinosa questione della guerra e della pace. Quale lezione trarre dagli interventi degli ultimi due decenni, dalla Bosnia alla Libia passando per l’Afganistan? Uscirne il prima possibile e non farsi più coinvolgere? La guerra in Libia ha sollevato parecchi dubbi, anche se non si è trattato di una guerra in senso classico. In ogni caso la “cultura della moderazione” non deve diventare sinonimo dello star fuori a tutti i costi, filosofia moralmente troppo altezzosa.
Esiste un’ultima importante questione da risolvere per la Germania: Israele. Cosa faranno i tedeschi a settembre, quando la Palestina chiederà il riconoscimento alle Nazioni Unite? Dopo la primavera araba, la Germania può davvero permettersi di negarlo? Dobbiamo stare alla larga dai noiosi rituali della diplomazia sul Medio Oriente, ma non possiamo correre il rischio di opporci a Israele o agli Stati Uniti.
La decisione persa in occasione dell’intervento in Libia ha associato la Germania a Russia, Cina e India. Ma Berlino ha bisogno di nuovi partner strategici. Non possiamo limitarci a una politica di non allineamento. Abbiamo bisogno dell’Europa intera per opporci alla Cina, e l’Europa ha bisogno di noi per giocare un ruolo importante nello scacchiere mondiale.
Che Europa vuole la Germania? Di quale Germania ha bisogno l’Europa? Soltanto rispondendo a queste domande il governo di Angela Merkel avrà una possibilità di sopravvivere. (traduzione di Andrea Sparacino)
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