Evitare le elezioni, ma poi da soli

by Sergio Segio | 23 Settembre 2011 6:36

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MILANO — «Questo voto è andato. L’avevo detto che la Lega non avrebbe fatto cadere il governo. Siamo alleati leali». Umberto Bossi a caldo dà  corpo al sentimento che è di tutto il partito: il sollievo. Il Carroccio di governo tira il fiato davvero. Perché il voto risicato che ha evitato il carcere a Marco Milanese non era una prova soltanto per l’esecutivo, ma anche — e cruciale — per il movimento: quattro voti in più a favore dell’arresto, e il Carroccio si sarebbe ritrovato sulla graticola. Con l’accusa di essere diviso per bande ( e pazienza se Maroni si sgola da giorni sull’unità  del partito), di avere due facce, di aver perso credibilità : disertori o, peggio, traditori. Certo, ora bisognerà  spiegare tutto, e per bene, alla Lega di territorio, che inonda i forum politici dei suoi lamenti: «Oggi la Lega è morta». Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, a spiegare ha già  cominciato: il voto, è vero, «non è stato facile», ma oggi «non possiamo permetterci né una caduta del governo, né una crisi al buio. Ci potranno essere delle transizioni morbide, ma non eventi traumatici, che l’Italia non può certo permettersi».

E così, il Carroccio pensa al dopo. Mercoledì sera, prima del voto, Bossi ai suoi lo ha detto chiaro: «Al prossimo giro andiamo da soli». Gioia composta di gran parte dei presenti, ma rieccoti il solito problema: la novità  presuppone un cambio della legge elettorale che consenta ai partiti di presentarsi ciascun per sé, senza dichiarare in anticipo le alleanze. È vero: ora ne parla anche il Pdl. Ma la strada resta accidentata.

Come se ne esce? Ieri il Senatùr ha smentito accordi con Silvio Berlusconi su un possibile cambio di governo a gennaio. Né peraltro si è detto convinto della possibilità  di arrivare al 2013: «Questo lo vedremo giorno per giorno». Di fatto, però, il primo mese dell’anno resta il crocevia delle scelte: fino a lì, forse è possibile pilotare gli eventi. Più tardi, il rischio è quello di subirli. Se il governo cadesse più avanti, infatti, non sarebbe più possibile convocare le elezioni per la primavera: si aprirebbe la strada a un governo tecnico dalla fisionomia ancora tutta da decifrare.

Seconda ipotesi, crisi dopo «non brillanti» amministrative di primavera. L’eventualità  suggerisce di spostare le consultazioni il più possibile in avanti, in modo da rendere impossibile l’immediato ricorso alle elezioni. A quel punto, spiega un dirigente leghista, avrebbe assai più senso una crisi di governo pilotata che «possa rifare la legge elettorale e dare un minimo di credibilità  alla squadra che si candiderà  a governare nel 2013». Un riferimento all’ipotesi di ticket Alfano-Maroni, premier e vicepremier.

Eppure, nel Carroccio si scrutano preoccupati i prossimi passaggi, nessuno dei quali privo di insidie. In prospettiva c’è il referendum, che in caso di vittoria dei sì riporterebbe tutto a un Mattarellum che il Carroccio non ama. Ma ben prima, mercoledì prossimo, arriverà  il voto sulla sfiducia nei confronti del ministro Saverio Romano. L’auspicio di tutti è quello di uno «spontaneo passo indietro» del responsabile dell’Agricoltura: una settimana appena dopo Milanese, la difesa di un personaggio accusato di reati connessi con la mafia renderebbe per i lumbard tutto più difficile.

E poi, c’è la designazione del governatore della Banca d’Italia. Il sostegno ufficiale a Vittorio Grilli, il tremontiano direttore generale del Tesoro, oggi è meno scontato di ieri. L’intempestiva partenza del ministro dell’Economia per Washington, a dispetto della difesa d’ufficio del deputato Marco Desiderati («Unica cosa sensata, qualsiasi altro comportamento sarebbe stato strumentalizzati») ha colpito sfavorevolmente anche il Carroccio: se il Consiglio dei ministri di ieri mattina è stato quasi interamente dedicato alle lagnanze contro il superministro, nessun leghista si è sentito di prenderne le parti. E poi, aggiunge un dirigente in camicia verde, «Grilli sarebbe letto come uno sgarbo a Napolitano. In più, non è certo il caso di mettere le dita negli occhi a Mario Draghi». La partita preoccupa. Perché «esibirsi in nuove beghe in un momento come questo sarebbe devastante».

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