Europa divisa, fumata nera sulla Grecia
WROCLAW – Un’Europa sempre più divisa spinge la Grecia di un altro passo verso il default, e accoglie con freddezza l’appello drammatico del segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, a mettere da parte le divergenze e a darsi da fare per risolvere la crisi dei debiti sovrani. La riunione informale dei ministri economici dell’Eurogruppo a Wroclaw, in Polonia, è naufragata contro il muro eretto dai governi più oltranzisti in materia di conti pubblici, ormai decisi a spingere Atene verso la bancarotta.
I diciassette hanno stabilito di rinviare di un mese la consegna della sesta rata del prestito alla Grecia per un ammontare di 8 miliardi: denaro che sarebbe dovuto arrivare a settembre e di cui il governo greco ha disperatamente bisogno. Il rinvio, perché Atene non sembra in grado di raggiungere gli obiettivi di risanamento concordati, e di fronte a questa mancanza i governi rigoristi hanno puntato i piedi rifiutando la consegna del denaro. Una nuova missione di ispettori della Commissione, della Bce e dell’Fmi partirà per la Grecia la settimana prossima. Se constaterà che le manovre aggiuntive di Papandreou potranno riportare sui binari la manovra di risanamento, il 3 ottobre i ministri daranno il via libera che hanno rifiutato oggi.
Ma non è questa l’unica zeppa che i “falchi” stanno mettendo sul cammino del salvataggio dell’euro. La Finlandia insiste che il secondo prestito alla Grecia, deciso prima dell’estate ma non ancora operativo, sia condizionato alla concessione di «garanzie collaterali» da parte di Atene. I greci dovrebbero offrire terreni, beni immobili o quote di società di proprietà pubblica. E su questo punto, alle pretese del governo di Helsinki si sono accodati l’Austria, l’Olanda, la Slovenia e la Slovacchia. Dietro le quinte delle riunioni ministeriali si sta negoziando febbrilmente per sbloccare questo intoppo. Il commissario Rehn si è dichiarato ottimista che la questione possa presto essere risolta. Ma intanto essa aggiunge incertezza ad una situazione già critica. Infine c’è il problema, diventato ormai scottante, del potenziamento del fondo salva-Stati, l’Efsf, deciso dai capi di governo al vertice dell’estate scorsa. La riforma, essenziale per consentire alla Banca centrale di trasferire all’Efsf il compito di aiutare gli Stati sotto attacco acquistandone i bond sul mercato, avrebbe dovuto essere operativa entro settembre. Ma molti Parlamenti nazionali, tra cui quello tedesco, olandese e austriaco, non hanno ancora ratificato le modifiche dei Trattati necessarie. E ieri il presidente dell’Eurogruppo, Juncker, e quello della Bce, Trichet, hanno lanciato un drammatico appello ad accelerare i tempi in modo da consentire il potenziamento dell’Efsf «almeno entro ottobre».
E proprio per chiedere un ulteriore potenziamento del Fondo, al di là di quanto è già stato deciso e non ancora messo in pratica, ieri è venuto alla riunione di Wroclaw il segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, preoccupatissimo per le esitazioni degli europei. Geithner ha duramente criticato le divisioni degli europei e ha rimproverato ai falchi le «chiacchiere vuote» su un ipotetico abbandono dell’euro. «I governi e le banche centrali devono scongiurare i rischi catastrofici sui mercati ed evitare le chiacchiere vuote sullo smantellamento delle istituzioni dell’euro», ha detto il responsabile dell’economia americana. «E’ molto dannoso non solo vedere le divisioni europee nel dibattito sulle strategie, ma il conflitto continuo fra i Paesi e le banche centrali».
Mai gli Stati Uniti avevano preso una posizione così dura nei confronti dell’Europa. Una durezza che però non è piaciuta ai ministri europei. «Noi non discutiamo con un non-membro dell’eurozona dell’aumento della capacità dell’Efsf», ha commentato seccamente Juncker.
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