Eni riprende le attività Il governo ancora in stallo
L’Eni ha ripreso la produzione in Libia. Come annunciato nei giorni scorsi dall’amministratore delegato del gruppo Paolo Scaroni, il cane a sei zampe ha avviato la riapertura di 15 pozzi nel giacimento di Abu-Attifeel, 300 chilometri a sud di Bengasi. Attualmente il livello di produzione è di circa 31.900 barili al giorno. Nei prossimi giorni saranno riattivati altri pozzi di produzione, con l’obiettivo «di raggiungere i volumi minimi necessari per riattivare l’oleodotto che trasporterà l’olio dal campo al terminale di Zuetina», situato sulla costa a pochi chilometri da Ajdabiya.
Eni vuole riconquistare il primato tra i produttori di greggio e di gas nel paese nordafricano, dove prima dell’inizio della rivolta contro Gheddafi estraeva 273mila barili al giorno (il 15 per cento circa della produzione complessiva).
Sul fronte interno, mentre i combattenti sul campo guadagnano posizione negli ultimi bastioni ancora in mano alle forze lealiste (Sirte, Bani Walid e Sebha), si registra un ulteriore slittamento nell’annuncio del governo. I responsabili politici del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), il presidente Mustafa Abdel Jalil e il primo ministro provvisorio Mahmoud Jibril, avevano detto inizialmente che questa settimana sarebbe stata quella cruciale, in cui sarebbero state annunciate le cariche. Ieri hanno fatto marcia indietro, sottolineando che tale annuncio è per il momento rimandato sine die. L’«organo esecutivo» del Cnt è stato formalmente sciolto dall’8 agosto scorso, pochi giorni dopo l’assassinio nei pressi di Bengasi di Abdel Fattah Younis, capo militare degli insorti ed ex ministro dell’interno di Gheddafi. Richiamato dal fronte per essere interrogato su suoi presunti contatti con il suo ex capo, Younis è stato poi ucciso a sangue freddo in circostanze che non sono mai state chiarite – secondo l’ipotesi più accreditata sarebbe stato ucciso da elementi islamisti della ribellione che volevano vendicarsi della repressione orchestrata contro di loro da Younis nel 1996.
Le difficoltà di formare il governo rispecchiano comunque le profonde differenze all’interno dell’organo degli insorti – differenze che sono di natura regionale ma che riguardano anche la visione politica. I combattenti di Misurata, la città che ha resistito a mesi di assedio da parte delle truppe lealiste, rivendicano una maggiore rappresentanza e criticano il premier Jibril, reo ai loro occhi di aver passato mesi all’estero durante la guerra e di essere comunque compromesso con il passato regime (Jibril ha diretto per circa un anno e mezzo un organo per le privatizzazioni voluto da Seif el Islam Gheddafi). Anche i combattenti delle montagne del Nafusa avanzano richieste, sottolineando che sono stati loro (insieme alle brigate provenienti da Misurata) a liberare la capitale Tripoli. Abdel Jalil ha detto che le città più colpite – come Misurata – avranno la priorità nella ricostruzione, ma non nella rappresentanza politica, «che dovrà rispecchiare l’insieme della Libia».
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