Due mesi: poi o il crollo degli Assad o l’intervento militare dell’occidente

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 DAMASCO. Nato nel 1940 nella città  costiera di Latakia, cristiano, scrittore e attivista per i diritti umani, Michel Kilo è probabilmente l’esponente più conosciuto dell’opposizione siriana. Un’opposizione che, visto il perdurante monopolio del potere dal parte del partito Baath, non è composta da partiti od organizzazioni a cui sia permesso di operare nel paese (sono legali solo i partiti satelliti del Baath riuniti nel Fronte nazionale progressista), ma piuttosto da intellettuali e dissidenti. Michel Kilo è stato uno dei principali animatori della breve stagione di aperture democratiche dopo che Bashar al Assad ha ereditato la presidenza nel 2000, chiamata «la primavera di Damasco», e uno dei firmatari della «Dichiarazione di Damasco» del 2005 che chiedeva riforme politiche e democratiche. A causa di questa firma è stato condannato a tre anni di prigione dal 2006 al 2009 con l’accusa di aver «indebolito il morale della nazione». Due mesi fa le autorità  gli avevano revocato il divieto di viaggiare all’estero ma la scorsa settimana gli è stato impedito di recarsi a un meeting dell’opposizione in Turchia.

Michel Kilo esordisce mettendo subito le cose in chiaro: «Quello in corso in Siria è un movimento popolare del tutto simile negli obiettivi alle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto, diverso solo nelle forme. Vogliamo libertà  e uno stato secolare e democratico».
Ma l’opposizione, di cui sei uno dei principali esponenti, dopo 5 mesi di proteste, appare divisa, incapace di eleggere un consiglio rappresentativo e di elaborare un piano…
L’opposizione è unita negli obiettivi ma divisa dal punto di vista dell’organizzazione. E questa è già  una cosa positiva, dopo quasi 50 anni di regime a partito unico. Ora tutti – dai socialisti agli islamisti, dai nasseristi ai liberali – stanno parlando tra di loro nelle varie conferenze che si sono tenute in questi mesi. Io sono stato tra i promotori dell’incontro a Semiramis (la prima conferenza pubblica dell’opposizione «Siria per tutti» che si tenne nall’hotel Semiramis di Damasco il 26 giugno scorso, ndr). Non è vero che la piazza chiede la fine del regime e noi proponiamo il dialogo. Accettiamo il dialogo se rinforza il movimento popolare per la libertà  ed indebolisce il regime. Tutta l’opposizione – che in questo senso è unita – ha rifiutato il dialogo nazionale proposto dal governo se prima non cessano le violenze. Ma la porta del dialogo deve rimanere aperta. In questo momento la priorità  dell’opposizione non dev’essere eleggere un consiglio rappresentativo o transitorio ma concentrare tutti gli sforzi per far cadere il regime. E la forza principale è la pressione della piazza. (Kilo è ora membro del Consiglio nazionale transitorio eletto ad Ankara, ndr).
Quali sono le prospettive per il futuro?
Ripeto, l’elemento principale sono le proteste di strada. All’inizio del Ramadan il regime aveva detto che in qualche giorno le avrebbe spazzate via, ora è finito e la gente scende ancora in strada. Non voglio parlare dei cristiani. Non bisogna vedere la Siria con gli occhi di un orientalista. In tutta la storia siriana non ci sono mai stati scontri settari. Io prevedo due possibili scenari: in uno l’opposizione riesce a stabilire un compromesso con parte dell’esercito e fa cadere «la famiglia» (riferimento agli Assad, ndr). L’esercito non ha interesse a difendere «la famiglia» e ho notizia della recente defezione di tre generali. Nell’altro scenario, a cui io sono contrario, entro due mesi ci sarà  un intervento militare occidentale. I passi sono già  segnati: la condanna di Bashar da parte del Tribunale penale internazionale, una risoluzione Onuper la protezione dei civili. In questo caso crollerebbero «la famiglia» e l’esercito. Noi vogliamo libertà  e democrazia, mentre l’occidente vuole indebolire l’Iran.
Giorni fa agenti del regime hanno spezzato le mani al vignettista dissidente Ali Farzat. Hai paura?
Come faccio ad avere paura quando la gente muore per strada? Quando ci sono migliaia di persone che la pensano come me?
«Accettiamo il dialogo se rinforza il movimento popolare per la libertà  e indebolisce il regime. E la forza principale resta la pressione della piazza»


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