Crisi Ue, se ci fosse una Sinistra

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 Quella che stiamo vivendo da tre-quattro anni è una fase di transizione storica caratterizza dalla grande crisi globale esplosa nel 2007-2008, tuttora in corso e di cui ancora non si vede quale sarà  la via d’uscita. Come in altre grandi crisi, essa riguarda non solo le modalità  assunte dal sistema economico-finanziario – che nel trascorso trentennio è stato caratterizzato dall’affermarsi del neoliberismo e della globalizzazione -, ma anche i valori culturali, sociali e politici che in questo periodo si sono affermati e il senso comune formato dalla diffusione di quei valori nell’opinione pubblica.

L’Unione Europea e la Sinistra sarebbero, potenzialmente, in una condizione ideale per dare un contributo positivo al superamento della crisi, ma – almeno finora – ciò non sta accadendo; anzi, per certi versi, si sta verificando il contrario.
Nonostante la crisi appaia, per il modo in cui si manifesta, di natura essenzialmente finanziaria, le sue cause strutturali vanno individuate in contraddizioni reali che continuano ad essere sottovalutate o negate dalle visioni economiche e politiche ancora dominanti. Anche nell’opinione pubblica si avvertono segnali di smarrimento e insofferenza, ma non s’intravede una loro canalizzazione politica in senso progressivo.
Tra i principali motivi economici della crisi globale vanno schematicamente ricordati: il peggioramento tendenziale della distribuzione del reddito iniziato negli anni ’80 nei paesi più sviluppati e il conseguente squilibrio tra la sostenuta dinamica delle capacità  d’offerta e l’inadeguatezza della domanda, determinata anche dal contenimento della spesa pubblica (in particolare di quella sociale); la finanziarizzazione dell’economia; l’accresciuta asimmetria nei rapporti tra mercati e istituzioni; il ruolo esercitato dalle visioni economiche. (…)
In realtà , quella che viene definita come la crisi dell’euro sta evidenziando la ben nota difficoltà  di creare un unico sistema economico che, tuttavia, di unitario ha solo la moneta e la politica monetaria e non anche le dinamiche strutturali e la politica di bilancio. (…)
Anche solo per sostenere la moneta unica, occorrono politiche capaci di favorire effettivamente la convergenza reale delle economie nazionali. A tal fine è necessario prendere atto che la sola concorrenza all’interno del mercato unico non ha favorito (non poteva farlo) la convergenza delle economie nazionali, ma l’ha resa più difficile, ed è proprio l’accresciuta disomogeneità  interna che ha accentuato gli effetti della crisi globale sull’Unione europea.
Occorre dunque potenziare l’azione di coordinamento e integrazione. Il passaggio da sistemi nazionali concorrenti ad un’economia di dimensioni continentali produrrebbe due risultati rilevanti: in primo luogo, le politiche espansive e di riequilibrio interne potrebbero essere praticate riducendo i rischi di peggiorare la bilancia dei pagamenti; in secondo luogo, rafforzerebbe significativamente la capacità  di contrasto alla speculazione che indebolisce la costruzione europea.
Le politiche espansive dovrebbero essere finanziate anche tramite l’emissione di eurobond (…) da cui sarebbe favorita anche la gestione dei debiti sovrani. L’impiego anche a tal fine degli eurobond e la dichiarata disponibilità  ad interventi sul mercato secondario – misure che in entrambi i casi dovrebbero essere coerenti ad un disegno di politica economica comunitariamente concordato e rispettato dalle parti – eliminerebbe la fragilità  dell’Unione Europea determinata dagli attuali comportamenti più autolesionisti che rigorosi.
La creazione di eurobond con queste funzioni – come da ultimo è stata sostenuta anche da Prodi – viene curiosamente criticata dal nuovo “partito” di coloro che si preoccupano che i tedeschi possano rimetterci. Ancora una volta c’è di mezzo una strana interpretazione del “rigore” richiesto nelle timide e tardive misure comunitarie adottate per contrastare la crisi.
A tale riguardo può essere utile notare che il prestito ai paesi in difficoltà  avviene ad un medesimo tasso corrisposto dal paese debitore a tutti i paesi creditori; tuttavia, questi ultimi, per erogare il prestito, raccolgono liquidità  sui mercati a tassi diversi, che sono più alti per l’Italia e meno per la Germania (il famoso spread che sta oscillando intorno al 3% ed è arrivato anche vicino al 4%). Dunque la Germania ha un profitto superiore dall’operazione.
D’altra parte, il sistema bancario tedesco ha un’esposizione nei paesi in difficoltà  ben maggiore di quella delle banche italiane (570 miliardi di euro contro 80 all’inizio dell’estate).
Dunque, quando vengono decisi interventi a sostegno dei bilanci pubblici dei paesi in difficoltà , lo si fa perché essi possano assicurare la solvibilità  dei loro operatori privati (soprattutto banche) che sono debitori verso il sistema bancario estero (soprattutto tedesco). (…)
Ma questi sono “particolari” poiché la creazione dell’euro è stata e continua ad essere una scelta particolarmente vantaggiosa per il modello economico tedesco fondato sulle esportazioni, le quali sono state evidentemente favorite dalla creazione di un mercato e di una moneta unitari. (…) D’altra parte, uno squilibrio commerciale elevato e persistente tra diversi paesi o aree economiche implica problemi e responsabilità  per entrambe le parti.
La crescita dell’intera Europa – e della Germania – e il contributo che ne può derivare per il superamento della crisi globale passano dunque necessariamente per un particolare aumento della crescita nei territori meno sviluppati. Se la Germania continua a non capirlo – o a capirlo con il sistematico ritardo connesso alle scadenze elettorali interne – e a imporre misure “rigorose” che impediscono la ripresa dei paesi europei maggiormente in crisi, taglierà  il ramo su cui essa stessa è seduta.
Il cosiddetto “Patto per l’euro” stilato in primavera a Bruxelles, pur accordando rilevanza alla convergenza delle economie reali, si limita invece alle consuete indicazioni di ricercare la competitività  su basi nazionali. A tal fine in esso si fa riferimento esclusivamente alle condizioni dell’offerta: ad un aumento della flessibilità  del lavoro e alla riduzione dei costi produttivi, tra cui vengono evidenziati quelli per le prestazioni sociali, sanitarie e pensionistiche, (continuando a sottovalutare il ruolo che esse possono avere sia per migliorare i presupposti sociali della capacità  d’offerta sia le non meno rilevanti condizioni della domanda).
Ma per uscire dalla crisi, non si possono ignorare le sue motivazioni strutturali inizialmente ricordate. Tuttavia, a tre anni dall’esplosione della crisi e ancora dopo il suo recente aggravarsi, l’ostacolo maggiore al suo superamento rimane la diffusa resistenza a riconoscerne la profondità  e la natura reale (non puramente finanziaria) delle sue cause. (…) Come diceva Keynes, il problema non sta tanto nell’affermazione delle nuove idee quanto nel liberarsi dalle vecchie.
Per uscire in modo positivo dalla crisi è necessario rilanciare la crescita, ma tenendo conto dei suoi aspetti qualitativi ed ecologici. (…) Per rilanciare la crescita e la sua qualità  occorre sostenere non solo le condizioni d’offerta, ma anche quelle della domanda mediante un miglioramento della distribuzione del reddito. È indispensabile che il mercato sia integrato e regolato dall’intervento pubblico e, in particolare, dalle politiche sociali necessarie a contrastarne l’instabilità  accresciuta dalla globalizzazione.
A ben vedere si tratta di un’agenda particolarmente congeniale alla Sinistra alla quale si presenta un’occasione storica per rientrare in gioco da protagonista.
Tuttavia, in Europa, l’efficacia di queste politiche sarebbe molto accresciuta se attuate su scala continentale anziché locale, se si sostituissero le competizioni nazionali (o nazionalistiche) con un approccio unitario fondato sulla presa d’atto che il modello d’accumulazione degli ultimi trent’anni va sostituito.
Storicamente, anche nel nostro paese, la Sinistra ha avuto con il processo d’unificazione europea rapporti ambivalenti. Accanto a convinti sostenitori c’è sempre stata una corrente almeno dubbiosa che negli ultimi anni ha trovato elementi di comprensibile sconforto nelle modalità  neoliberiste che hanno caratterizzato la costruzione dell’Unione.
Tuttavia, senza negare le difficoltà  come quelle sopra ricordate, si deve prendere atto che, in aggiunta alle sue motivazioni storiche, oggi il processo d’unificazione europeo è il terreno che meglio si presta all’affermazione di politiche e scelte capaci di farci uscire dalla crisi in modo positivo.
Naturalmente in Europa possono essere decise anche politiche non condivisibili, contraddittorie e controproducenti – come in molti casi è già  avvenuto e come continua ad avvenire. Ma non v’è dubbio che i margini per politiche di progresso perseguite autonomamente a livello nazionale sono sempre più ristretti, mentre i rischi di risorgenti conflitti nazionali sono sempre presenti. La Sinistra deve dunque operare con convinzione per contribuire a riavviare su basi più solide il processo d’unificazione europea. (…)
Purtroppo, come sappiamo, la crisi in atto riguarda anche la politica e coinvolge non da meno la Sinistra che, nonostante i problemi da affrontare in questa fase storica le siano particolarmente congeniali, fa fatica a rapportarsi alla loro complessità  con un approccio coerente a se stessa e alle necessità  che si pongono. (…) A questi esiti ha contribuito anche quella manifestazione di autoreferenzialità  della politica e dei politici che pregiudica la possibilità  di fondare le scelte su una adeguata organizzazione dell’attività  collettiva di valutazione e finalizzazione delle conoscenze. Un conseguente effetto che si diffonde nell’opinione corrente, anche nella sua componente più progressista, è il conservatorismo per presunta mancanza di alternative cioè il dubbio devastante che non sia possibile praticare altro che i valori socio-culturali delle politiche affermatesi negli ultimi decenni, ma che – al più – sia possibile sostituire la classe dirigente che le hanno applicate senza il necessario “rigore” (economico, etico, professionale, estetico, ecc).
Ma, naturalmente, per un’applicazione più “rigorosa” delle vecchie idee non c’è bisogno della Sinistra, né in Italia né in Europa. (…)
(Testo integrale nel forum La rotta d’Europa su www.ilmanifesto.it e sbilanciamoci.info)


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