Così l’11 settembre ha cambiato il giornalismo
Il caso di violazione più feroce è stata sicuramente Guantanamo, come ha dimostrato la testimonianza del giornalista di al Jazeera Sami al Haj, rinchiuso per sei anni nel famigerato campo, dove ha subito ogni tipo di tortura.
La lotta al terrorismo non ha colpito solo i “nemici” ma la stessa informazione. Come ha riferito John Nichols di The nation: dopo l’11 settembre il giornalismo negli Stati uniti è stato ridotto a un’informazione allineata cui fanno da complemento i commenti dei politici “mezzobusto”. Una mancanza di informazione che impedisce all’opinione pubblica di esercitare il proprio diritto ad essere informata. Censura e autocensura, a volte il limite è sottile quando per informare si corre il rischio di essere eliminati fisicamente o anche solo di perdere il lavoro. E per chi non vuole sottostare a questi diktat e si ostina a voler fare una informazione indipendente i rischi sono sempre maggiori, come hanno testimoniato giornalisti sequestrati in Iraq e in Afghanistan. I giornalisti devono assumersi la responsabilità delle loro azioni, ma a volte a decidere per loro sono gli editori che preferiscono inviati embedded con gli eserciti perché pensano che siano più sicuri e perché risparmiano sulle costose assicurazioni imposte nei luoghi di guerra. Per i free lance spesso il passaggio dell’esercito è l’unico modo per arrivare sul posto. La questione degli embedded è stata sollevata ma la discussione non ha portato a una presa di posizione dell’Ifj su una questione così delicata. Eppure quella che alcuni presenti hanno chiamato «militarizzazione» dell’informazione costituisce un forte ostacolo alla libertà di espressione e di informare. Questa «militarizzazione» non riguarda solo l’informazione sulle guerre ma anche le limitazioni imposte in generale alle inchieste dei giornalisti con il segreto di stato o con pressioni affinché vengano rivelate le fonti.
Come far fronte a questa situazione? Innanzitutto occorre esercitare una pressione sui governi per l’introduzione di leggi che garantiscono la libertà di informazione e ai cittadini il libero accesso all’informazione pubblica, eliminando le restrizioni imposte in nome della sicurezza. L’obiettivo è importante ma non facilmente raggiungibile. Per essere più incisivi occorre costruire vaste coalizioni che comprendano sindacati, militanti per i diritti umani, chi lavora nei media e i gruppi della società civile che difendono le libertà democratiche. Queste le indicazioni emerse dalla conferenza. In gioco è infatti la democrazia.
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