Conservare per cambiare

by Sergio Segio | 2 Settembre 2011 9:11

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Le differenze emergono bene nei prototipi inglesi: i Tories, conservatori, e i Whigs, progressisti ante litteram. Nella guerra civile che dal 1642 dilaniò l’Inghilterra, i Tories sostennero il re incline al cattolicesimo; critici della monarchia assoluta invece i Whigs, Dissenters in religione e oppositori di Giacomo II nella “gloriosa rivoluzione” del 1688. Al potere alternativamente nel Parlamento per due secoli, i Tories, protezionisti, difesero i proprietari terrieri, la chiesa anglicana e il potere della Corona, mentre i Whigs, partito sempre più di commercianti e industriali paladini del libero mercato, favorevoli a limitare il potere del Re, fecero campagna contro lo schiavismo e per l’allargamento del suffragio. Lo spartiacque definitivo fu l’atteggiamento verso la Rivoluzione francese. Vicino ai rivoluzionari Charles James Fox, leader whig, ostili al massimo i Tories di William Pitt. Edmund Burke passò allora dai progressisti ai conservatori e scrisse le note riflessioni negative sulla Rivoluzione, cui rispose con un testo altrettanto famoso sui diritti degli uomini, quindi delle donne, la radicale proto femminista Mary Wollstonecraft.
Ma le parole, appunto, si trasformano. Se diamo una scorsa alla storia, il Conservation Movement è il movimento ambientalista degli Stati Uniti, nato a metà  dell’Ottocento per mantenere nello stato originario la wilderness rimasta del Paese, e Conservation – conservazione – in ecologia è una parola chiave con tutt’altro senso che in politica. Conservare la natura selvaggia, la biodiversità , i paesaggi prevede una dinamica innovativa che ripristina e rinatura, custodisce e tutela la varietà  degli organismi, da cui dipende la nostra sopravvivenza. Parchi nazionali, wildland project, stili di vita semplici, sobrietà , equità  sociale e modelli economici che sostengano la rete della vita è un agire diffuso che coinvolge scienziati, comunità , contadini, intellettuali ed artisti, associazioni, gruppi ambientalisti e gente comune, poco attratti dall’ideologia del cambiamento continuo che fa consumare velocemente merci sempre diverse: mode, stili musicali, trasmissioni tv, auto, macchine fotografiche e computer, “look”, relazioni e identità …
Il Progresso lineare dell’umanità  verso un futuro migliore, un mito che ha segnato l’immaginario e l’agire politico di un secolo, è diventato una fede. I costi delle sue evoluzioni, lo sviluppo e la globalizzazione economica, sono sotto gli occhi di tutti. Non riconoscerlo fa condividere politiche sociali e ambientali negative e condannare resistenze e alternative che non si comprendono. È un paradosso, un koan zen, ma per progredire è meglio rallentare. Cambiare rotta e tornare su sentieri antichi con nuove consapevolezze. Quando la natura e la vita di miliardi di persone vengono degradate e distrutte ogni giorno, conservare diventa un verbo del cambiamento. Conservare la varietà  e la bellezza, le culture e la memoria storica, il paesaggio e l’arte, i semi e le lingue, il valore in sé di ogni essere vivente, la voglia di giustizia, la convivialità  e la festa così diverse dall’intrattenimento e dagli eventi spettacolari, la capacità  di vergognarsi.

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