Confiscati ad Ansaldo Energia 98 milioni
MILANO – Mazzette per la costruzioni di centrali elettriche sparse per il mondo. Ma anche su ogni tipo di fornitura e pezzo di ricambio. Quando, nell’estate del 2003, scattarono le prime manette, lo scandalo venne definito dagli inquirenti come «un sistema di corruzione vasto ed esteso che rischia di fare impallidire Tangentopoli». Otto anni dopo, il processo milanese per le bustarelle incassate dai manager della società Enelpower, si conclude con un drastico ridimensionamento dello scenario.
Su 44 imputati, solo nove sono stati condannati ieri mattina dal collegio presieduto da Oscar Magi a pene comprese tra i due anni e i 3 anni e mezzo. Per gli altri, c’è chi ha incassato l’assoluzione nel merito, e chi, invece, ha ottenuto la prescrizione, come gli ex principali manager del gruppo controllato da Enel, Luigi Giuffrida, Gabriele Caressa e Antonino Caprarotta. Le accuse parlavano a vario titolo di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, falso in bilancio e perfino riciclaggio.
Un risultato, l’inchiesta condotta nel 2003 dai pm Francesco Greco, Carlo Nocerino ed Eugenio Fusco, lo ha ottenuto. In base alla legge sulla responsabilità amministrativa delle società (231), per uscire dal processo, aziende del settore del calibro di Siemens e di Alstompower, hanno dovuto sborsare in tutto quasi 200 milioni di euro a titolo di risarcimento. Al colosso dell’energia tedesco, per un anno era anche stato impedito di contrattare sul territorio italiano. E una bella altra fetta di denaro è stata confiscata dal tribunale milanese ad Ansaldo Energia, la controllata di Finmeccanica «maggior produttore italiano di impianti termoelettrici» (come recita il proprio sito). Da ieri, 98 milioni e 700 mila euro sono entrati nella disponibilità dello Stato. Altri 2 milioni e due, invece, sono stati requisiti a società più piccole come la Fagioli, la Bonna Sabla, l’Igeco, l’Impresa Bottoli, la Pietro Formentini e la Sitie impianti industriali.
Il meccanismo scoperchiato dalle indagini descriveva come i vertici di Enelpower stessero «attenti» nell’assegnazione degli appalti. Per garantire i lavori, i manager pretendevano una percentuale, da versare all’estero, ovviamente in nero. Il tramite, spesso, erano delle società cartiera che facevano pervenire il denaro su conti esteri, giustificandolo con operazioni inesistenti. Agli ex vertici di Enelpower sono state ritrovate le somme illecite percepite soprattutto in Svizzera, ma da quando l’inchiesta è partita, estate 2003, a quando si è arrivati in aula, il periodo trascorso ha sforato i limiti massimi della giustizia.
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