Cina. Il Grande Balzo del miliardario al vertice del Partito comunista
Liang, 57 anni, dimora al primo posto delle classifiche degli uomini più ricchi della Repubblica Popolare, con una fortuna personale intorno ai 70 miliardi di renminbi, 11 miliardi di dollari. Soprattutto, però, potrebbe essere il primo imprenditore privato cooptato nel Comitato centrale del Partito comunista, un incarico più prestigioso — e simbolicamente significativo — di quanto non appaia dall’ampiezza dell’organismo, oltre 200 membri. Le indiscrezioni, ieri riprese dalla stampa, non si fermano qui. Liang potrebbe ottenere incarichi in Hunan: al vertice dell’amministrazione provinciale oppure del capoluogo Changsha, se non addirittura del Partito, come vicesegretario.
La nomina, a questo punto ritenuta probabile, avverrà alla fine del 2012, durante il 18° congresso comunista che dovrà rimodellare la leadership del Partito e dunque dello Stato. La presenza di Liang nell’élite politica della Cina sdogana definitivamente gli imprenditori privati. Il suo percorso prevede studi universitari dalla fine degli anni Settanta, l’ingresso in un ministero (quello delle Munizioni) e, nel 1987, la creazione della Sany. Un’industria pesante che, con le sue scavatrici e le sue gru, ha capitalizzato al massimo la frenesia edificatoria e l’affollarsi di grandi opere che hanno trasformato la Cina.
Della Sany, Liang è il presidente. Nel partito è entrato tardi, 2004, quando ormai la presenza di imprenditori privati tra gli iscritti era stata sanzionata dall’allora segretario Jiang Zemin (2001) e quando la teoria delle «tre rappresentanze», poi inclusa nel preambolo alla Costituzione, dava il benvenuto a tutte le forze produttive. Qualche malumore su Liang proviene da nostalgici e neo maoisti. Tuttavia, la sua cooptazione potrebbe significare una nuova attenzione agli imprenditori privati in una fase in cui la generosità dei crediti bancari e le protezioni pubbliche si sono concentrate sulle grandi aziende di Stato: una dinamica distillata nella massima «il settore statale s’espande, il settore privato si ritira».
Ci sono state fasi in cui il potere comunista cercò l’appoggio tattico di settori del capitale. Rong Yiren, magnate del tessile negli anni Cinquanta fu vicesindaco di Shanghai, quando ancora alcuni ruoli rilevanti erano assegnati a esponenti dei partitini fiancheggiatori o a figure senza tessera. Chi sopravvisse alle feroci campagne contro la «destra» e alla Rivoluzione Culturale riapparve dopo l’avvio «dell’apertura e della riforma» di Deng Xiaoping. Il coinvolgimento del maggior imprenditore privato suona oggi come un «serrate i ranghi» di fronte a un’incertezza economica globale che finisce con l’interessare anche la Cina. Con l’allargarsi della forbice tra ricchi e poveri tornano a risuonare slogan dimenticati, come la «Prosperità comune» di Deng (ora citato dal futuro segretario Xi Jinping), a lungo eclissata dall’«occorre lasciare che qualcuno si arricchisca per primo». I tempi si annunciano duri. Il Partito ha bisogno del compagno Liang.
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