Chi protegge ora i civili?
Sono fra le categorie di civili più a rischio in Libia ma nessuno se ne occupa. Sono le migliaia di famiglie libiche sfollate nei mesi scorsi dall’est perché non erano dalla parte del Cnt e avevano ricevuto minacce o angherie. Erano ospitate dal governo di Tripoli in strutture provvisorie: un villaggio marino e un ex accampamento cinese, quasi nel deserto. Altre erano a Zliten, in appartamenti lasciati vuoti da lavoratori stranieri. Dove sono adesso, dopo l’ingresso del Cnt a Tripoli? Chi si occupa di loro? Chi provvede alla loro sicurezza, dal momento che possono essere viste come «traditrici» dai nuovi padroni di Tripoli e quindi si prestano a vendette? E dove andranno mai? Cercheranno di mimetizzarsi, ma dove?
L’organismo più adatto a proteggere questo nutrito gruppo di bambini, anziani, donne e uomini non combattenti dovrebbe essere l’Icrc, il Comitato internazionale della Croce Rossa. Da Ginevra spiegano che la cosa migliore è segnalare la cosa allo staff sul posto. Ma lo staff locale, pur più volte contattato giorni fa al telefono e per email, non è ancora riuscito ad andare a cercare quei gruppi di famiglie. Tutti gentilissimi; ma la situazione non è ancora risolta. La signora Hanan Salah da Tripoli dice: «Abbiamo molte priorità , siamo sottodimensionati, i bisogni sono tanti, ma abbiamo parlato con i consigli locali appena costituiti e loro devono prendersi carico della loro protezione. Comunque cercheremo di contattarli». Basterebbe andare sul posto per verificare. Perché non lo fanno? Un altro funzionario della Icrc, il signor Abdel Karim, dice che in effetti qualcuno dello staff è andato a Zanzur. Però si sono occupati di famiglie di migranti africani, che effettivamente sono in una situazione insicura: «Abbiamo spiegato ai consigli locali neocostituiti che hanno una responsabilità di proteggerli; metteranno ribelli armati allo scopo». Volpi a guardia del pollaio? Amnesty ieri ha testimoniato di «neri» presunti lealisti arrestati anche negli ospedali.
A proposito di migranti africani, un altro numeroso gruppo nel mirino, le evacuazioni procedono a un ritmo lento. «L’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) che ne è incaricata dovrebbe accelerare le evacuazioni via terra verso la Tunisia, la destinazione migliore per noi africani che poi dovremo tornare nei nostri paesi; per quelli dell’Asia va bene anche la nave verso Bengasi, ma per noi no, per molte ragioni…» spiega M.B., del Niger, che aspetta con altri l’evacuazione. E c’è un altro problema. Pare che nel caso della nave i migranti debbano arrivare al porto con mezzi propri; possibile che non si trovi un pulmino per raccoglierli, visto quel che rischiano?
Un altro gruppo di civili in grande pericolo è nelle città dove si combatte, Sirte. Dove i civili sono intrappolati. Secondo un ex militare russo presente sul posto (http://www.decapactu.com/spip/article.php3?id_article=613), la Nato bombarda massicciamente da giorni la città la quale è circondata da check point di «ribelli» aiutati da unità speciali inglesi, francesi, del Qatar e degli Emirati e che impediscono alle famiglie di fuggire. Gli uomini che ci provano sono fucilati e donne e bambini rispediti in città sotto le bombe. Non c’è nemmeno modo di seppellire i morti. Una situazione rovesciata rispetto a Misrata, quando le truppe lealiste erano accusate da tutti di assediare la città dove si trovavano i ribelli. Ma per Misrata, la Nato bombardava Tripoli.
Gli assedianti hanno dato ai militari fedeli a Gheddafi asserragliati a Sirte un ultimatum per la resa incondizionata. Sennò sarà massacro. E il Cnt che per cinque mesi ha chiesto alla Nato più bombe, più armi, più consiglieri militari stranieri per «proteggere i civili», rifiuta categoricamente qualunque presenza di force di peace keeping (caschi blu) dell’Onu, come di osservatori militari non armati, dopo che l’inviato dell’Onu Martin aveva ventilato l’idea. Perché, dice alla Bbc l’esponente del Cnt Ibrahim Dabbashi «in Libia la situazione è speciale: non è guerra civile, è il popolo che si sta difendendo contro la dittatura».
Niente pietà per chi ha combattuto dall’altra parte? Così sono fuggiti in Algeria, dove sono stati accolti «per ragioni umanitarie» circa 500 tuareg che avevano combattuto a fianco delle milizie lealiste ed erano braccati dai ribelli
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