Cassamarca e Bds gelano Unicredit “Non vogliamo il terzo aumento”

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MILANO – La formalizzazione della lista per Mediobanca e la semplificazione interna, nella linea di quanto è già  stato deciso per la riorganizzazione della banca. Il cda di Unicredit di oggi non affronterà  ragionevolmente i temi più scottanti – aumento di capitale e piano industriale – ma la potenziale iniezione di mezzi freschi continua a tener banco, non solo sui mercati ma anche tra i propri azionisti. In particolare le Fondazioni.
Ieri è stata soprattutto Cassamarca, azionista allo 0,7%, ad esprimere freddezza rispetto alla partecipazione. «Tenendo presente che noi abbiamo già  aderito a due aumenti, per un terzo ci sarebbe qualche problema», ha spiegato Dino De Poli, presidente dell’ente trevigiano. Anche perché, ha continuato, «dovremmo adoperare soldi delle nostre attività »: insomma, la coperta è corta e dunque la partecipazione all’aumento non è scontata. Del resto, già  così la Fondazione Cassamarca ha dovuto varare un sostanzioso taglio alle erogazioni 2012.
E non è detto che anche da Cariverona (azionista di Unicredit col 4,21% e che attualmente riceve dai dividendi Unicredit un 30-40% dei ricavi) vi sarebbe un’adesione totale all’aumento di capitale: già  nel 2009, in occasione dell’aumento realizzato con i cashes, la Fondazione della città  scaligera si chiamò fuori. Più esplicito è stato, sempre ieri, il presidente della Fondazione Banco di Sicilia Giovanni Puglisi, che ha detto di condividere le stesse perplessità  di De Poli. «Dal punto di vista soggettivo ho delle perplessità  – ha spiegato – che nascono da una difficoltà  mia: ho un problema di liquidità  a sottoscrivere una quota dell’aumento. Comunque, in questo momento di mercato, con questa volatilità , non mi sembra il momento di fare aumenti di capitale, del resto credo che nessuno ad Unicredit abbia preso una decisione, oggi». Per quanto, continua ancora Puglisi, pensando a Piazza Cordusio in un’ottica di banca di sistema i ratio patrimoniali vanno rafforzati. Però, «oggi come oggi credo proprio di no, che non parteciperei ad un aumento di capitale, ma non certo per mancanza di fiducia sul management o sull’operazione». Comunque, aggiunge Puglisi, i grandi azionisti di Piazza Cordusio «non sono nelle condizioni di fare troppo gli schifittosi», opponendosi all’ingresso o all’ascesa nel capitale di fondi sovrani cinesi o arabi. Quasi scontata la non partecipazione della Regione Sicilia (che ha un altro 0,6%, la stessa quota della Fondazione BdS) che per sottoscrivere avrebbe bisogno di fare una legge e infatti anche nei precedenti aumenti non ha messo mano al portafoglio.
Unicredit è l’unica tra le grandi banche a non aver programmato, finora, un’operazione sul capitale. In compenso, gli azionisti hanno dovuto già  metabolizzare due aumenti, per un totale di 7 miliardi: 3 miliardi con i cashes nel 2009, seguiti da altri 4 miliardi nel 2010. La cifra dell’aumento attuale, sempre che venga lanciato, non andrebbe lontana dai cinque miliardi. Un impegno che, pro quota, non dovrebbe essere un grande problema per la Fondazione torinese (3,6%), che ha circa 300 milioni di liquidità . In ambienti torinesi molti ritengono che, a questi prezzi, sia persino un’opportunità  di investimento partecipare ad un aumento in Unicredit.)


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