Cartografia del filo spinato

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 GERUSALEMME. Molti dei partecipanti alla Carovana dell’acqua, venuta dall’Italia per capire meglio, parlando, ascoltando e vedendo la Palestina pochi giorni prima dell’attesissimo riconoscimento internazionale, alla spicciolata, sono andati a comprare una carta turistica della «Terra santa di Palestina e Israele» (questo il suo nome).

Va detto subito che quella prescelta è una carta al tempo stesso chiarissima e difficile da leggere perché c’è troppo. Infatti riporta con diversi colori le autostrade e le stradine, come corrono e come si fermano; il percorso del Muro, quello esistente, quello in costruzione e quello solo in progetto; i vari confini e le linee verdi. Gli insediamenti: israeliani, dei coloni e dei palestinesi son larghe macchie di diversi colori. In rosso vivo sono indicati gli insediamenti militari israeliani. Non certo quelli in Israele, ma quelli evacuati da qualche anno da Gaza e quelli tutt’ora presenti nell’area che gli israeliani chiamano Territori o Galilea/Samaria ed invece è la Palestina.
Effetti della Guerra dei 6 giorni
Raccontare una carta geografica è ancora più difficile che raccontare non diciamo naturalmente la storia, ma anche una semplice vignetta; comunque se i lettori saranno clementi e accompagneranno con favore lo sforzo, il risultato darà  forse un’idea. La prima cosa che si nota è quanto la Palestina sia piccola, rispetto al territorio del mandato inglese, per varie vicende di guerre e di armistizi. Il 78% del territorio è rientrato subito nei confini di Israele, alla fondazione. Del restante 22%, detto anche West Bank, l’assetto attuale ne attribuisce al diretto controllo di Ramallah, sede del governo palestinese, meno di un quarto: sono gli effetti della «Guerra dei 6 giorni» del 1967. Questo significa che della Palestina storica solo il 5% è sotto controllo del governo che chiederà  il 20 settembre un riconoscimento internazionale.
Infatti la cartina spiega come oltre la linea verde stabilita dalla comunità  internazionale, siano presenti tre diverse zone: A, B e C. La zona «A», color marrone, è sotto il controllo politico e amministrativo dei palestinesi. Nella zona «B», beige, questi ultimi hanno solo il controllo amministrativo, mentre quello politico (leggi: militare) è di Israele. Infine nella zona C, gialla, l’intero controllo è di Israele. Vi sono ancora tre colori da considerare: gli insediamenti palestinesi, nella loro terra, sono indicati con larghe macchie arancioni; poco lontano spiccano quelle viola dei coloni; infine, spesso ma non sempre defilate, ecco le aree rosse del territorio occupato dall’esercito israeliano. Ora questo terribile gioco di strategia può cominciare.
Macchia gialla, controllo totale
La parte ad est della West Bank, almeno un terzo del totale è tutta una macchia gialla, segno del controllo totale di Israele. È la Valle del Giordano, da Tiberiade al Mar Morto. Spicca solo la macchia di Gerico, assediata da tutte le parti. Le situazioni peggiori, da un punto di vista visivo, sono quelle di città  e territori assediati da tutte le parti, tanto dal Muro che dagli insediamenti dei coloni.
La tecnica di penetrazione parte normalmente dall’esercito che ritiene, senza dover dare spiegazioni, per evidenti motivi di strategia, che una situazione, un villaggio, un campo, un albero, un pozzo sorgente, sia potenzialmente pericoloso per Israele e la sua difesa. Quindi insedia alcuni soldati, costruisce posti di guardia con difese di cemento e filo spinato ad alta tensione. Chiude strade e ne apre altre, per uso dell’esercito. Poi chiama i coloni che arrivano un po’ per desiderio di avventura e conquista, un po’ per guadagno e facilità  di alloggi. Gli interessi anche abitativi diventano maggiori e l’economia comincia a investire.
L’esercito fa il suo mestiere
La macchia viola si allarga e sembra che tenti di collegarsi con altre macchie viola vicine. L’esercito, benevolo, sorveglia tutto. Fa il suo mestiere e garantisce la sicurezza dei suoi concittadini, trascurando il particolare che sono lì perché è lo stesso esercito che li ha chiamati.
La cartina presenta molti punti rilevanti. C’è Qalqilya che sorge presso il confine a ovest, a ridosso dell’autostrada che percorre Israele per quasi tutta la sua lunghezza. Qalqilya è completamente circondata dal Muro: rimane un esile passaggio di forse due o trecento metri, percorso dalla strada 55 che spesso la sicurezza dell’esercito – e come darle torto – è costretta a bloccare.
Poi c’è il caso di Salfit. Neppure l’ottima cartina spiega che Salfit è in basso, sovrastata da un bellissima città  giardino, lunga molti chilometri, abitata dai coloni, Ariel. Poco a ovest di Ariel c’è, sempre in alto, Barqan un altro insediamento, con prerogative industriali. C’è tra l’altro una grande impresa metallifera israeliana che scarica i suoi rifiuti di lavorazione tramite un’antica cascata che finisce in un wadi, una specie di ruscello che a sua volta scorre nel verde intenso di un prato lungo e stretto.
Nella cartina non ce ne è traccia, ma sono ben presenti nella memoria comune della Carovana dell’acqua le immagini delle mucche che si dissetano con l’acqua della fabbrica di metalli di Barqan.


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