by Sergio Segio | 3 Settembre 2011 6:54
Roma – Le energie del futuro, il fotovoltaico, l’eolico da insediare in Sardegna, nelle mani di Flavio Carboni diventano un affare sporco e pericoloso. «La discarica di Calancoi è la più grossa vergogna mai accaduta in Italia. Lì c’è di tutto, anche la diossina», dirà il faccendiere al sodale Ignazio Farris. Calancoi è la discarica di Carboni, la più grande della Sardegna, il cuore del suo business in nero: la trasformazione di siti contaminati in parchi di energia pulita. Lo rivelano quindici delle 66 mila pagine dell’inchiesta sulla P3: nel momento in cui su Carboni e i suoi affari la magistratura accende una nuova luce – è l’agosto 2009 – si scopre che da alcune stagioni l’uomo gestisce “Calancoi”, un’enorme collina di rifiuti alle porte di Sassari, tra il porto industriale e la strada per Stintino, sedici ettari di proprietà del fratello. Dal 2005 il sito è diventato di “interesse nazionale” a causa delle condizioni in cui versa: metalli pesanti, amianto, residui di cantiere, rottami, pneumatici. In quindici anni in questa vecchia cava di tufo (terreno calcareo e quindi permeabile) si sono formati puteolenti torrentelli carsici che potrebbero aver già infiltrato la falda acquifera.
IL BUSINESS DELLE DISCARICHE
L’organizzatore della Loggia P3 – Dell’Utri, Verdini, i napoletani che gestiscono i rapporti con i magistrati – è consapevole di quello che sta maneggiando. La sua famiglia ha ottenuto Calancoi a basso prezzo immaginando di innalzare pale per lo sfruttamento del vento sopra questa discarica da bonificare ma anche su alcune ex aree industriali, come prevedono le leggi della Regione Sardegna che l’organizzazione influenza. Carboni sa anche che per ripulire l’area e trasferire i rifiuti tossico-nocivi a Scala Erre, sito comunale, servono 100 milioni: nessuno li ha. A Ignazio Farris, direttore generale dell’agenzia sarda per l’Ambiente, sodale della P3, Carboni dice: «L’avevano affidata a noi, ma l’abbiamo trascurata perché è un sito incontrollato… C’è un progetto di quegli architetti che sfilarono un milione e quattro alla Regione, ma per bonificarla non bastano 7 milioni. Io tengo duro, difenderò il mio bene… È il Comune abusivo, hanno preso un altro terreno mio, lì vicino, per buttarci i laterizi».
Le indagini hanno messo a fuoco il piano di Carboni e famiglia: acquisire discariche, abusive, pericolose, lungo la dorsale della Sardegna per trasformarle in parchi eolici. «A Calancoi ho speso un sacco di soldi, ho fatto il piano di razionalizzazione». Farris lo rassicura: «I soldi della Regione ci sono, c’è l’accordo tra i Comuni di Sassari e Porto Torres…». Carboni attacca la società Mediterranea ‘96: «Sono ancora loro i padroni, non c’è stato esproprio, sono loro i responsabili di questo disastro ecologico, ne hanno fatte di tutti i colori». Farris gli ricorda: «Flavio, per legge la bonifica spetta a te». Carboni: «Il Comune non ha i soldi, interverrà lo Stato». Serve la macchina oliata dal faccendiere, i soci della maggioranza devono spingere per approvare decreti favorevoli e finanziarli con denaro pubblico.
Sulla questione Ignazio Farris regala buone notizie a Carboni: in Sardegna si realizzeranno energie pulite per duemila megawatt, «in posti ottimi». Il gruppo si prepara a mettere le mani su un secondo “sito di interesse nazionale”: il Sulcis-Iglesiente-Guspinese. E attraverso la società Fonte eolica prova a planare su terreni di San Giovanni Suergiu, Gonnesa, Carbonia, Sarrabus, la rete illegale dei parchi dell’energia. «Bisogna contattare quelli della Fri El Green Power». Un’azienda specializzata.
IL RISTORATORE CIPRIANI
Alessandro Alberani è del gruppo dei forlivesi, gli imprenditori della P3 interessati ai fatturati dell’eolico in Sardegna. L’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia si sofferma su un’operazione sospetta partita dal conto di Alberani presso la Bcc di Forlì. È un bonifico di 340 mila sterline del 6 maggio 2010 indirizzato alla Whiters Llp di Londra, in favore di Giuseppe Cipriani, il ristoratore veneziano titolare della catena di locali di New York e, scrive l’Uif, «indagato per crimini finanziari». Sulla causale del bonifico si legge: «Instruction to be given by Giuseppe Cipriani». La transazione non andrà a buon fine: la banca di Forlì bloccò l’operazione perché «Alberani si mostrò riluttante a presentare la documentazione contabile relativa».
Nel novembre 2009, poi, Alberani promette a Carboni di investire anche nei progetti energetici, poi si ritira. Antonella Pau, moglie del faccendiere sardo, se ne lamenta via sms con un’amica: «Dopo che gli abbiamo sistemato la moglie questa è la ricompensa». La moglie di Alberani, Serena Salvigni, era stata inserita nel coordinamento provinciale del Pdl di Forlì-Cesena. L’uscita di scena del primo imprenditore costringe Carboni a cercare nuovo denaro. Al telefono gli sfugge un dettaglio importante: «L’invito a trovare altri finanziatori mi è arrivato da Roma. Stiamo preparando una grande offensiva». Il dominus troverà Fabio Porcellini e Alessandro Fornari, sempre a Forlì. I due oggi sono accusati di finanziamento illecito «per aver versato 6 milioni a Flavio Carboni, al coordinatore del Pdl Denis Verdini, al senatore Marcello Dell’Utri e al deputato Massimo Parisi».
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